An Idea of Beauty

By Tara Prout (Lorenzo de’ Medici)

As Florence’s only current exhibition space devoted solely to the display and exploration of contemporary art and culture, the Centre for Contemporary Culture Strozzina (CCCS) does so through thematic shows and collateral events marked by a strong curatorial vision. This spring/summer, the CCCS presents An Idea of Beauty, a group show of eight international artists curated by the center’s director Franziska Nori, which successfully challenges its visitors to reflect upon and (re)define their own idea of beauty through its curatorial choices, overall design and layout, and written exhibition materials.

Immediately upon descending the staircase from the Palazzo Strozzi courtyard into the CCCS, one is confronted with the goals and tone of the space by means of the text displayed behind the admission counter. This statement, published in both Italian and English – as are all of the labels and panels found throughout the show – provides the public with a clear understanding of the curatorial concept and the questions she would like to raise throughout their journey of the different galleries. This wall text effectively communicates that viewers will be invited to think critically, reflect and actively engage during this experience, making them an active participant and not just a passive guest or casual observer. This dimension of audience involvement, on which the Fondazione Palazzo Strozzi has prided itself since its establishment in 2006, is evident in the CCCS’s show and allows the foundation to remain true to its mission.

With a focus on such a large and subjective topic as beauty, this show relies heavily on written texts throughout to provide visitors with explanatory information about each of the participating artists, the vision of the specific piece on display, and how it relates to the overall curatorial thesis of the display. These texts are found on mounted panels within each gallery and while one can appreciate the decision to keep the panels small so as not to distract viewers from the works on display in each room, the size and placement can cause bottlenecks and obstruct the flow of traffic if the galleries become crowded. Since the written materials are so important in guiding and informing those in the spaces, it may be wise to consider printing small informational pamphlets that can be carried throughout by the individual, or printing the information large on one wall in each gallery to prevent these types of issues. Of course, there is always a trade-off when making decisions such as panel placement and size, and in this institution it is clear that maintaining the impact of the actual artwork has been given precedence over the explanatory texts.

In addition to the information panels, each gallery includes a quote from different professionals in Florence, about their “idea of beauty.” Smaller than the explanatory panels and not clearly presented in the beginning of the exhibition, these quotations are not necessary elements in understanding the overall concept; however they provide an additional intellectual layer for those who would like to be pushed as they continue along the path. The inclusion of these brief texts from a Psychologist, Abbey Prior, Geneticist, Composer, Book Seller, Magistrate/Judge, Computer Programmer and Astrophysicist takes some of the authoritative power away from the curator, further opening the dialogue presented in the galleries. This element is crucial in designing shows with the aim of engaging viewers; varying the tone and perspective allows people from different backgrounds to access and relate to it. It also emphasizes the depth and breadth of the topic and underscores that the exhibit aims to merely present an idea of beauty, and not a universal concrete definition.

Finally, this concept of an “idea of beauty” can also be perceived visually through the display of various artistic mediums including painting, installation, photography, video and sculpture. While some forms of expression are more straightforward and traditional in their execution, others are more experimental and again invite the viewer to redefine beauty, on a visual as well as intellectual level. In this particular show, the curator has chosen to display these various mediums in a way that becomes increasingly challenging as the visitor continues along the path; just as one feels their conceptions are concrete, a new means of expression lies around the corner, throwing these ideas away, demanding that new ones take their place. Through the design and placement of artworks, one begins to understand how the exhibition itself can also become a vehicle in developing and working out different contemporary concepts, as experienced here with beauty.

As with all of the expositions at the Fondazione Palazzo Strozzi and the CCCS, An Idea of Beauty includes collateral events such as lectures, talks, and movie screenings that run throughout its duration to further engage the public on this topic. The CCCS continues to push its audience to reflect upon contemporary art and culture and this current show does not fail to deliver on its overall goal. Through savvy curatorial decisions, effective communication elements and various forms of public involvement, visitors leave feeling stimulated, engaged and inspired.

 

Un’idea di bellezza

di Tara Prout (Lorenzo de’ Medici)

Unico spazio espositivo che oggi, a Firenze, è dedicato totalmente all’esplorazione dell’arte contemporanea, il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina (CCCS) propone mostre tematiche ed eventi collaterali contrassegnati da precise idee da parte dei curatori. Durante questa primavera/estate il CCCS presenta Un’idea di bellezza, un’esposizione di otto artisti internazionali curata dal direttore del centro Franziska Nori che invita, con successo, i suoi visitatori a (ri)definire e riflettere sulla loro propria idea di bellezza attraverso le sue scelte curatoriali, allestimento e layout generali e materiali scritti.

Subito dopo la discesa nel CCCS dalla scalinata dal cortile di Palazzo Strozzi si è subito messi a confronto con gli obiettivi e col tono della mostra grazie ad un pannello esplicativo posto dietro il bancone. Questo testo, pubblicato sia in italiano che in inglese – come lo sono tutti i cartellini ed i pannelli che si incontrano lungo il percorso – prepara i visitatori, con un apprendimento chiaro del pensiero della curatrice e delle domande che vorrebbe sollevare durante il loro tragitto per le diverse gallerie. Tale spiegazione comunica efficacemente che chi osserva sarà invitato a pensare criticamente, riflettere e partecipare attivamente all’esperienza, facendolo sentire coinvolto e non soltanto un ospite passivo oppure un semplice passante. Questo aspetto di partecipazione del pubblico, di cui la Fondazione Palazzo Strozzi si vanta sin dalla sua nascita nel 2006, è evidente nell’evento organizzato dal CCCS e consente alla fondazione di rimanere fedele alla sua missione.

Concentrandosi su un tema così ampio e soggettivo come la bellezza, questa mostra si basa molto sui testi scritti che vengono proposti ai visitatori e che contengono informazioni riguardo ad ognuno degli artisti partecipanti, l’interpretazione dello specifico pezzo e come esso si collega al generale argomento affrontato dalla curatrice nel corso dell’esposizione. I testi si trovano su pannelli montati in ciascuna galleria e mentre si può apprezzare la decisione di lasciarli piccoli, così da non distrarre gli osservatori dai lavori in mostra in ogni stanza, la dimensione e la loro posizione può provocare ingorghi ed ostruire il flusso di traffico se le gallerie diventano affollate. Siccome i materiali scritti sono così importanti nel guidare e nell’informare il pubblico potrebbe essere saggio prendere in considerazione dei piccoli depliants informativi da poter essere portati con sé durante la visita, oppure stampare le informazioni in caratteri grandi su una parete in ciascuna galleria per prevenire questo genere di situazioni. Certamente, prendere delle decisioni, come la disposizione dei pannelli e la loro dimensione, comporta sempre un compromesso, ed in questo caso è chiaro che mantenere l’impatto dell’opera stessa ha avuto la precedenza sui testi esplicativi.

In aggiunta ai pannelli informativi, ogni galleria include una citazione da differenti figure professionali di Firenze, riguardo la loro “idea di bellezza”. Più piccole rispetto ai pannelli esplicativi e non chiaramente presentate all’inizio della mostra, queste citazioni non sono elementi necessari alla comprensione del concetto generale; comunque essi aggiungono un livello intellettuale per coloro che vorrebbero essere sollecitati mentre continuano lungo il percorso. L’inclusione di queste brevi parole da parte di uno psicologo, un priore dell’abbazia, un genetista, un compositore, un libraio, un magistrato/giudice, un programmatore di computer ed un astrofisico, sottrae alla curatrice un po’ della sua autorità, aprendo di più al dialogo presentato nelle gallerie. Questo elemento è cruciale nel concepire le mostre con l’intento di coinvolgere gli osservatori; variare il tono e la prospettiva permette a persone dal background differente di accedere e relazionarsi all’esposizione. Ciò enfatizza anche la profondità e l’ampiezza dell’argomento e sottolinea che la mostra vuole solo presentare un’idea di bellezza, e non una definizione concreta universale.

Infine, questo concetto di una “idea di bellezza” può anche essere percepito visivamente attraverso l’esposizione di vari mezzi artistici che includono la pittura, l’installazione, la fotografia, il video e la scultura. Mentre alcune forme d’espressione sono più comprensibili e tradizionali nella loro esecuzione, altre sono più sperimentali e di nuovo invitano l’osservatore a ridefinire la bellezza, a livello sia visivo che intellettuale. In questo particolare evento, la curatrice ha scelto di mostrare questi vari mezzi in un modo che diventa sempre più stimolante come il visitatore procede lungo il percorso; non appena si percepisce che le loro idee diventano concrete, un nuovo mezzo di espressione si trova dietro l’angolo, spazzandole via ed esigendo che altre prendano il loro posto. Tramite il design e la disposizione delle opere d’arte si comincia a capire come la mostra stessa può divenire veicolo per lo sviluppo e l’apprendimento di diversi concetti contemporanei, come accade qui con la bellezza.

Come tutte le mostre alla Fondazione Palazzo Strozzi e al CCCS, Un’idea di bellezza include eventi collaterali come letture, conferenze e proiezioni di film che hanno luogo per tutta la sua durata per interessare maggiormente il pubblico a questo argomento. Il CCCS continua a spingere i suoi visitatori a riflettere sull’arte e sulla cultura contemporanea e l’esposizione in corso non manca di raggiungere il suo obiettivo. Attraverso sagge scelte curatoriali, elementi di comunicazione efficaci e varie forme di coinvolgimento del pubblico, i visitatori escono sentendosi stimolati, impegnati ed ispirati.

Horne & Friends. Florence, a Dream to Safeguard and Preserve

By Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

The recently opened exhibit on the life of Herbert Percy Horne will be running at the Horne Museum until December of this year. It focuses on the lesser known aspects of the life of the Englishman, known mostly as a collector of Renaissance art. Bringing out interesting archival pieces from the collection, some of which have not been exposed before, the show utilizes the writings and other works by Horne to illustrate his passion for preserving his adopted city. Though quite small, the display uses a nice combination of impressive technology and traditional methods to convey its theme to the visitor.

In fact, the exhibition consists of only an entrance hallway and one room of works. This corridor serves as an introduction to the theme of the show and briefly describes who Horne was. One also finds his painted portrait in this area, a work that is usually located upstairs in the permanent collection of the home. Though this first space does not incorporate any multimedia aspects and is more of a usual approach to explaining a theme, the concise wording of the text panel – with Horne’s portrait beside it – achieves just that.

In the main room, one’s attention is immediately drawn to a large monitor on the far wall surrounded by an ornate golden frame, making the images on the screen seem like moving paintings. This video functions as the primary method for engaging visitors in the subject of the exhibition – Horne and fellow foreigners living in Florence at the end of the 19th century, and their passion for preserving the historic city center. In the 15-minute video, Mr. Horne himself tells the visitor about his involvement not only in preserving and collecting Renaissance art, but in producing poetry, drawings, and paintings of his own. This moving and speaking “painting” of Horne also includes images projected onto the wall around it with which he interacts. For example, after reading the visitor a letter that he wrote to a colleague, he reaches out of the frame to place it on the wall, where it is enlarged for the observer to see better. This captivating technology is supplemented by the fact that the archival documents – such as letters, water color paintings, and drawings – that the video highlights are all found on display in the room.

While one is surely impressed by this interesting method of conveying the show’s theme, it does have certain disadvantages. The film plays in Italian and English successively, but its somewhat long run-time means that one must wait up to fifteen minutes for the previous video to finish before being able to see it in the desired language. The museum seems to have attempted to remedy this by providing each visitor with a free bilingual exhibition booklet (designed to look like the journals or periodicals Horne was involved with) with much of the same information one hears in the video. This would seem to be the perfect combination of technological and traditional paper methods of allowing the observer to understand the show. Unfortunately, however, the volume of the video plays so loudly that even those who do not understand the language will be distracted by it, as it booms through the entire exhibit space. In addition to this, one who prefers to read the labels and the booklet, rather than watch the video, will have trouble reading in the darkened space – an unavoidable necessity with all the precious paper and archival documents on display.

After visiting this intriguing, yet small, one-room exhibition, the ticket allows one entrance into the rest of the museum’s permanent collection, on view throughout the two upper floors of the home. There, it is possible to see many of the furniture pieces or paintings referenced in the temporary exhibition.

Overall, the exhibition succeeds in its attempt to introduce the public to a different side of Herbert Percy Horne. Through the use of impressive technology, along with the more common method of paper booklets and text panels, the show is able to better explain the collector’s involvement not only in producing art, but also in preserving and safeguarding it.

 

Horne & Friends. Firenze un sogno da salvare

di Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

La mostra recentemente inaugurata sulla vita di Herbert Percy Horne resterà aperta al Museo Horne fino a dicembre di quest’anno. Incentrandosi sugli aspetti meno noti della vita dell’inglese, conosciuto soprattutto come collezionista di arte del Rinascimento, la mostra porta alla luce interessanti pezzi d’archivio dalla raccolta, alcuni dei quali non sono mai stati esposti prima, il tutto utilizzando le scritture e gli altri lavori di Horne per illustrare il suo impegno nel preservare la sua città adottiva. Sebbene l’esposizione sia abbastanza piccola, l’allestimento usa una piacevole combinazione di tecnologia e metodi tradizionali per comunicare il suo tema al visitatore.

Infatti la mostra consiste di un solo corridoio di ingresso e di una stanza di opere. L’ambiente iniziale serve da introduzione al tema dell’evento espositivo e descrive brevemente chi era Horne, ma questa area contiene anche il suo ritratto, un dipinto che normalmente è collocato al piano superiore insieme alla collezione permanente della casa-museo. Anche se questo primo spazio non include supporti multimediali e rivela un approccio piuttosto usuale per la presentazione del tema,  i contenuti concisi del pannello esplicativo – col ritratto di Horne proprio accanto – riescono nel loro scopo.

Nella sala principale l’attenzione è immediatamente catturata da un grande monitor che, sulla parete opposta, è circondato da una cornice ornata e dorata, rendendo le immagini che scorrono sullo schermo tali da sembrare dipinti in movimento. Questo video funziona da metodo primario per accompagnare il visitatore nel vivo dell’argomento della mostra: Horne e gli altri stranieri presenti a Firenze alla fine del XIX secolo e la loro determinazione nel salvaguardare il centro storico della città. Attraverso il video, di 15 minuti, Horne in persona racconta al visitatore del suo ruolo non solo nel preservare e collezionare l’arte del Rinascimento, ma anche nella produzione di poesia, disegni e quadri. Questo “dipinto” di Horne, parlante e in movimento, include anche immagini proiettate sulla parete tutt’intorno, con cui egli interagisce. Per esempio, dopo aver letto al visitatore una lettera scritta da lui ad un collega, allunga il braccio fuori dalla cornice per porla sulla parete, dove essa viene ingrandita affinché lo spettatore possa osservarla meglio. Questa tecnologia così accattivante è supportata dal fatto che i documenti d’archivio – come lettere, dipinti ad acquerello e disegni – che il video ricorda e menziona sono tutti presenti e in esposizione nella stanza.

Mentre si resta sicuramente impressionati da questo interessante metodo di comunicazione del tema della mostra, esso presenta comunque alcuni svantaggi. Il filmato viene proposto continuamente prima in italiano e poi in inglese, ma la sua lunga durata significa dover aspettare quindici minuti perché il video precedente finisca e si possa vederlo nella lingua desiderata. Il museo sembra aver tentato di rimediare a questo problema con l’aver fornito ad ogni visitatore un booklet bilingue gratuito (dall’aspetto dei giornali o delle riviste con cui Horne collaborava) con molte delle informazioni che si possono ascoltare nel video. Questa sembra essere la perfetta combinazione di metodi tecnologici e tradizionali per permettere all’osservatore di comprendere la mostra. Sfortunatamente, però, il volume del video è così alto che anche coloro che non capiscono la lingua ne saranno distratti, poiché esso rimbomba per tutto l’intero spazio espositivo. In aggiunta a ciò, chi preferisce leggere i cartellini e il booklet piuttosto che guardare il filmato, avrà problemi di lettura in uno spazio così scuro – una necessità inevitabile visti tutti i preziosi fogli e documenti archivistici in mostra.

Dopo la visita di questa intrigante, anche se piccola, esposizione di una stanza, il biglietto permette di accedere al resto della collezione permanente del museo, visibile nei due piani superiori della casa-museo. Qui è possibile vedere molti dei mobili o dipinti ricordati nell’esposizione temporanea.

Tutto sommato, la mostra riesce nel suo intento di introdurre il pubblico verso un aspetto differente di Herbert Percy Horne: attraverso l’uso di una tecnologia coinvolgente e il più comune utilizzo di booklet di carta e pannelli esplicativi l’esposizione diventa capace di illustrare meglio la partecipazione del collezionista non solo nel produrre arte, ma anche nel preservarla e salvaguardarla.

The Strength of Modernity: Arts in Italy, 1920-1950 at Fondazione Ragghianti, Lucca

By Chiara Lupo (University of Florence)

From April 20 to October 6, it is possible to visit the show, The Strength of Modernity: Art in Italy 1920-1950, at the Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ragghianti in Lucca. The exhibition, curated by Maria Flore Giubilei and Valerio Terraroli, proves to be a real artistic journey that illustrates clearly and completely the Italian production of decorative arts, design, painting, and sculpture, from the Twenties to the mid-Fifties. The exhibit is part of  a recent group of events inaugurated in the last few years, which are concerned with art of the 20th century in Italy. However, what stands out in this show is the attention paid to design, which correlates nicely with the expressions of pictorial and sculptural art by the great artists of the time. This article discusses how its successful organization could intrigue and educate a visitor who has no knowledge of art history.

The exhibit, developed thematically and chronologically, opens by diving right into Art Deco, an artistic taste that is clearly described in the explanative panels that introduce a new theme for each room. In fact, the visit starts with design objects by Giò Ponti, Francesco Nanni, Anselmo Bucci, and Guido Andovitz: a vast assembly of works of painting, sculpture, decoration, and design, some examples of which are a tapestry embroidered by Vittorio Zecchin from 1920 and some flower boxes from the same period. From the first room, one passes into the second. This one, completely dedicated to dreams, love, and exoticism, is clearly conveyed through the display of vases, bowls, and a sculpture of the Indian goddess, Kalì, in cases with enormous white bases. Continuing on, our attention is captured by the famous sculpture by Arturo Martini, La Pisana, placed in the middle of the room. Here, the theme is women, as interpreted by sculptors Arturo Martini, Libero Andreotti, and Marino Marini and by painters Felice Casorati and Felice Carena. Further on, attention is focused on the subjects of evasion, games, irony, and speed, arriving at the end of the Twenties with the themes of bourgeois décor and antique inspiration. The Bourgeoisie are represented by their taste for porcelain, by a painting of a woman at a window by Antonio Donghi and by a centerpiece of the Italian Embassies by Giò Ponti, who, at the time, worked for the Richard-Ginori factory.

From here, one’s gaze moves to nature: an explosion of materials, also fitting perfectly with the next room’s title, the Wunderkammer. A world of wonders that explodes in the colors of the glass, silver, and stones that make up the new objects of design. Rooms 7 and 8 are respectively dedicated to living nature and animals, and to immobile nature and still lives; also here, the connections and associations with the grand masters of painting and sculpture make it all the more suggestive.

Further on, attention is given to Archaic Classicism and to pure volumes, arriving at the abandonment of the figure, which concludes the exhibit, with a look at artists such as Carlo Fontana and Emilio Vedova who, thanks to the use of materials, anticipated a taste destined to be the focus of the following years.

On a positive note, worthy of mention, are the explanative panels, which are generally too long and so boring that they push the visitor, after the umpteenth yawn, to quit reading halfway; on the contrary, here, though not translated into English, they intrigue and accompany the path of the visit through a more knowledgeable discourse of the exposed works.

It is quite an interesting exhibit, with a linear progression, which succeeds perfectly in its intentions. In fact, after having visited it, this slice of Italian art history from these thirty years of change and interesting personalities—of which we often know only the paintings—is much clearer.

The Fondazione Ragghianti, part of the complex of San Micheletto, is on Via San Micheletto 3, in Lucca.

Exhibit hours:

April, May, June, September, and October, the complex is open Tuesday to Sunday, from 10 am to 1 pm and 4 pm to 7 pm. July and August, from Tuesday to Sunday, from 4 pm to 8 pm. Closed Mondays.

Entrance is free for University students.

 

“La forza della modernità, arti in Italia 1920-1950”. Fondazione Ragghianti, Lucca.

di Chiara Lupo (Università di Firenze)

Dal 20 aprile al 6 ottobre è possibile visitare, presso la Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ragghianti di Lucca, la mostra La forza della modernità, arti in Italia 1920-1950. L’esposizione, curata da Maria Flora Giubilei e Valerio Terraroli, risulta essere un vero e proprio itinerario artistico che illustra, in maniera chiara e completa, la produzione italiana di arti decorative, design, pittura e scultura partendo dagli anni Venti fino ad arrivare alla metà degli anni Cinquanta. La mostra si inserisce all’interno del grande circuito di eventi inaugurati negli ultimi anni, il cui interesse si è concentrato sull’arte del Novecento italiano. Ma ciò che colpisce in questa esposizione è l’attenzione rivolta verso il design, ponendolo in stretta correlazione con espressioni d’arte pittorica e scultorea dei grandi artisti del tempo. Il presente articolo intende far notare come un ordinamento ben fatto possa incuriosire e formare un visitatore asciutto di conoscenze storico-artistiche.

L’esposizione, sviluppata secondo un ordine tematico e cronologico, si apre con un tuffo nell’arte Decò, gusto artistico che è chiaramente descritto nei pannelli esplicativi che per ogni sala introducono a una tematica diversa. Il percorso infatti prende avvio da oggetti di design di Giò Ponti, Francesco Nanni, Anselmo Bucci e Guido Andovitz attraverso un’ampia carrellata di opere di pittura, scultura, decorazione e design di cui alcuni esempi sono un arazzo ricamato da Vittorio Zecchin del 1920 e delle fioriere dello stesso periodo. Dalla prima sala si passa alla seconda. Quest’ultima, interamente dedicata al sogno, all’eros e all’esotismo, è resa chiara attraverso  l’esposizione di vasi, ciotole e una scultura che rappresenta la Dea Kalì, messi in vista all’interno di vetrine dalle enormi basi bianche. Proseguendo, la nostra attenzione viene catturata dalla celebre scultura di  Arturo Martini La Pisana, posizionata al centro. Qui il tema è la donna, interpretata dagli scultori Arturo Martini, Libero Andreotti e Marino Marini e dai pittori Felice Casorati e Felice Carena. Più avanti l’attenzione si focalizza sui soggetti d’evasione, il gioco, l’ironia e la velocità per arrivare, alla fine degli anni Venti, al decoro borghese e all’ispirazione all’antico. La  borghesia è rappresentata attraverso il gusto rivolto alle porcellane, da un dipinto di donna alla finestra di Antonio Donghi e dal centrotavola delle Ambasciate d’Italia di Giò Ponti che per quell’occasione lavora per la Richard-Ginori.

Da qui lo sguardo si sposta verso la  natura, un’esplosione di materiali resa plausibile anche dal titolo della sala successiva, la Wunderkammer. Un mondo di meraviglie che esplode nel colore dei vetri, degli argenti e delle pietre con cui i nuovi oggetti di design vengono realizzati. Le sale 7 e 8 sono dedicate rispettivamente alla natura viva e agli animali e alla natura immobile e alle nature morte; anche qui i collegamenti e le associazioni con i grandi maestri di pittura e scultura rendono il tutto più suggestivo.

Più avanti l’attenzione è rivolta al classicismo arcaico e ai volumi puri fino ad arrivare all’abbandono della figura, che conclude la mostra, con uno sguardo ad artisti come Carlo Fontana ed Emilio Vedova che, anche grazie all’utilizzo dei materiali, preannunciano un gusto destinato a essere protagonista negli anni successivi.

Una nota positiva, inoltre, è bene sottolinearla nei confronti dei pannelli esplicativi, generalmente troppo prolissi e noiosi tanto da spingere il visitatore, dopo l’ennesimo sbadiglio, ad abbandonare la lettura a metà; al contrario qui, seppur non tradotti in inglese, incuriosiscono e accompagnano il percorso attraverso una lettura più consapevole delle opere esposte.

Una mostra molto interessante, dal percorso lineare, che riesce perfettamente nei suoi intenti.  Dopo averla visitata, infatti, lo spaccato di storia dell’arte italiana in quel trentennio di cambiamenti e personalità interessanti di cui spesso conosciamo solo le opere pittoriche, è molto più chiaro.

La Fondazione Ragghianti, appartenente al complesso di San Micheletto, si trova in Via San Micheletto 3, Lucca.

Orari mostra: in aprile, maggio, giugno, settembre e ottobre, il complesso è aperto dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19. Luglio e agosto, dal martedì alla domenica dalle 16:00 alle 20:00. Giorno di chiusura: lunedì.

L’ingresso è gratuito per gli studenti universitari.

The Renaissance Dream

By Marta Gelli (University of Florence)

The exhibition The Renaissance Dream comes from the collaboration of the Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze and the Réunion Musées Nationaux Grand Palais of Paris.  This show will actually be held at the Pitti Palace until September 15, while from October onward it will be hosted in the French capital, at the Musée du Luxembourg. A careful selection of works, among which the highest place is reserved for paintings, presents all the facets and meanings that the Renaissance attributed to the dream and dreams. The intention, one assumes, of the curators was to have didactics in mind but, in the end, the visitor could be left with only vague impressions and suggestions.

The exhibit, situated on the second floor, opens in the Sala Bianca: after presenting the entrance ticket, one’s full attention is drawn to two large panels, which also function as dividers, covered by a midnight blue silk-like fabric – and a better color choice could not have been made. On these, gold letters stand out with two quotations by Virgil and Homer, on the right and left sides respectively, which refer to the description of the Gates of Sleep. Of course, the visitor will not find here (though one is reminded of them) doors of ivory or of horn, but the idea of portals to access the world of dreams is cleverly suggested by tall blue temporary structures introducing the first section; like French doors, when viewing these structures from the entrance, one can only glance through the crevice, or more fittingly, the door crack.

Each area of the exhibition corresponds more or less to a section of the show, which already declares its theme in the title space. These areas are bordered by nice panels that rise from the floor and run along the walls, at times, further subdividing the parts of the rooms. Apparently, it seems that one area is dedicated to a single section and a specific theme but, in reality, there are almost always two themes, which face one another (also without clear connections) on opposing or adjacent sides. In addition, continuing on, the viewer may unfortunately feel confused and disoriented due to the often alternating path of the visit, running sometimes clockwise, other times counter-clockwise… in this case, however, the explanatory panels, almost always hung next to the first work of a new section, will provide a foothold. These texts are in three languages – Italian, French, and English – and are not too long, but are so dense that whoever visits the exhibit in a bit of a hurry, not having the time or desire to concentrate too much, may quit reading early on. Furthermore, the labels are helpful, placed next to each piece and written with few, clear words in Italian and English: perhaps the French tourists may feel cheated by the captions? Actually, what really helps distinguish one section from another are the large golden quotations at the tops of the panels. These quotes, however, are only in Italian; so, as these lines and verses are not always recognizable or well known, foreigners may not be able to understand the play on words and connections between what is written and what is shown.

Coming, then, to the works displayed, their great variety is surely striking: a variety of size, quality, style, but also provenance. In fact, numerous pieces have been borrowed from Italian or foreign museums, to create a dialogue of similarities and differences with works from Florentine institutions or their storerooms. One example is in the Sala di Bona, where the theme of nightmares is expressed well with Bosch paintings facing the portraits of Francesco I de’ Medici and his lover, Bianca Cappello. Next to their likenesses, manuscripts, letters, and paintings are presented to remind one how, while the prince was alive, Medici commissions leaned toward the theme of the dream. Another dialogue that can’t be ignored takes place right in the center of the Sala Bianca, where, in two display cases, distinct yet juxtaposed, one finds the small painting by Raphael titled Vision of a Knight and, below, the book of Silius Italicus, the Punica, opened to the page in Latin that shows the written source of the most famous painting in the exhibit – this text is followed to a “t” by the artist. For those who do not know Latin, however, there is a text panel with the Italian translation; and those who are instead not familiar with either language will have to simply trust what the labels tell them.

Surely, many other works will stand out in the visitor’s memory: Venus and Cupid with a Satyr by Correggio; The Dream of St. Catherine of Alexandria by Ludovico Carracci; the beautiful tapestry with the biblical episode of Joseph interpreting the Pharaoh’s dreams, created on the model by Francesco Salviati; or perhaps the minute paintings by Lorenzo Lotto.  But the display choices may be as equally memorable. In addition to the already mentioned midnight blue color of the temporary structures (which leave the monochrome ceiling of the Sala Bianca free to be admired), another element worthy of praise is the blue cylindrical fabric surrounding the grand, lit chandeliers, creating another filter for immersion into the dream-like ambiance. But it is in  one of the small adjacent rooms that one can access the most intimate moment in dreams, that in which mystical visions can appear, as seen in the religious paintings on display. This intimacy is conveyed well by the absence of diffused light and by the decision to only illuminate, with spotlights, each work with its label, thus surrounding one in darkness. It was not likely a coincidence that the curators chose to gradually fade the tone of blue in the panels along the walls, as one continues on. The section in which the Medici – or their memory – are mentioned is a lapis lazuli color, which eventually becomes a light blue in the last little room, in which Dawn appears with the chariot of the Sun, and Venus finally opens her eyes.

So, perhaps, light and color take center stage in the exhibit, inviting the viewer to become emotionally invested in the visions: in the end, what remains when we wake up every morning, if not a vague recollection of hazy images and, often, disjointed visions?

 

Il Sogno nel Rinascimento

di Marta Gelli (Università di Firenze)

La mostra Il Sogno nel Rinascimento è nata grazie alla collaborazione fra la Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze e la Réunion Musées Nationaux Grand Palais di Parigi: tale evento espositivo infatti fino al 15 settembre avrà luogo presso Palazzo Pitti, mentre dall’ottobre sarà ospitato nella capitale francese, al Musée du Luxembourg. Una selezione attenta di opere, tra cui il posto più rilevante è riservato ai dipinti, vuole presentare tutte le sfaccettature e i significati che nel Rinascimento vennero attribuiti al sogno e ai sogni, con intenti che, si comprende, nell’immaginario dei curatori dovevano esser didattici ma che, tutto sommato, potrebbero lasciare il visitatore pieno di vaghe impressioni e suggestioni.

L’esposizione, a cui si accede dal primo piano, si apre nella Sala Bianca: una volta staccato il biglietto di ingresso tutta l’attenzione di chi entra si focalizza su due grandi pannelli, che fungono da divisori, ricoperti di un tessuto semilucido color blu notte – e miglior scelta cromatica non poteva esser compiuta – su cui, rispettivamente a destra e sinistra, campeggiano a lettere dorate due citazioni da Virgilio e Omero che si riferiscono alla descrizione delle porte del sonno. Certo, il visitatore non si imbatterà in quelle (lì ricordate) d’avorio o di corno, ma l’idea delle porte da varcare per accedere al mondo dei sogni è genialmente suggerita da queste alte strutture temporanee blu che, come se fossero delle ante, introducono alla prima sezione, che dall’ingresso può solo essere sbirciata tramite la fenditura o, per meglio dire, lo spiraglio.

Ogni zona fisica dello spazio, delimitato dai bei pannelli che si alzano da terra e corrono lungo  le pareti, suddividendo talvolta in più aree una stessa stanza, corrisponde più o meno a una sezione della mostra, che già dal titolo dichiara il suo carattere tematico. Apparentemente sembra che un’area sia dedicata a una singola sezione e a un tema specifico, ma in realtà quasi sempre ne coesistono due, a fronteggiarsi (anche senza connessioni evidenti) sui lati opposti o adiacenti. Inoltre, procedendo lungo il percorso, si potrebbe verificare nell’osservatore la spiacevole sensazione di sentirsi confuso e disorientato a causa della sovente alternanza del senso di visita, talvolta orario, altre antiorario…  In questo caso, però, per il visitatore si riveleranno comodi appigli i pannelli esplicativi, affissi quasi sempre a lato dell’opera che inaugura una nuova sezione: si tratta di testi redatti in tre lingue, italiano, francese e inglese, non troppo lunghi, ma talmente densi che chiunque visiti la mostra con un po’ di fretta potrebbe, non avendo tempo o voglia di concentrarsi troppo, abbandonarne ben presto la lettura. Oltre a ciò sono di aiuto i cartellini, posti accanto a ciascun pezzo, redatti con poche, chiare parole in italiano e inglese: i turisti francesi si sentiranno sedotti e abbandonati dalle didascalie? In realtà quel che più aiuta a distinguere una sezione dall’altra sono le grandi citazioni a caratteri dorati in cima ai pannelli, sovrastanti le opere esposte. Questi riferimenti, tuttavia, sono presentati solo in lingua italiana, dunque, siccome si tratta di versi o brani non sempre immediati e arcinoti, gli stranieri potrebbero non comprendere il gioco di richiami e rispondenze tra la parola scritta e la sottostante lingua figurata.

Venendo, poi, alle opere esposte, colpisce senz’altro la loro grande varietà: di formato, di qualità, di stile ma pure di provenienza. Sono infatti diversi i pezzi, che sono stati prestati da musei italiani o stranieri, a cercare un dialogo per assonanza o dissonanza con opere delle istituzioni fiorentine o dei loro depositi. Un esempio è quanto accade nella Sala di Bona, ove il tema delle visioni da incubo, espresso magnificamente dai quadri di Bosch, si staglia di fronte ai ritratti di Francesco I de’ Medici e della sua amante Bianca Cappello, vicino ai quali sono presentati manoscritti, lettere e dipinti, a ricordare come, negli anni in cui visse il principe, anche la committenza medicea si muovesse in direzione del tema del sogno. Un altro dialogo che non si può tacere ha luogo proprio al centro della Sala Bianca, dove in due teche, distinte ma accostate, si trovano il piccolo quadro di Raffaello dal titolo Il sogno del cavaliere e, più in basso, il libro di Silius Italicus, la Punica, aperto proprio alla pagina, in latino, che riporta la fonte scritta del più famoso dipinto presente in mostra, un testo seguito praticamente alla lettera dall’artista. Per chi non conoscesse il latino, comunque, è stato posto un pannello con la traduzione in italiano; chi invece ignorasse entrambe le lingue… dovrà semplicemente fidarsi di quanto riportano le didascalie.

Sicuramente diverse altre opere si imprimeranno nei ricordi del visitatore: Venere e Amore spiati da un satiro di Correggio, Il sogno di Santa Caterina d’Alessandria di Ludovico Carracci, il bellissimo arazzo con l’episodio biblico di Giuseppe che interpreta i sogni del Faraone, tessuto su cartone di Francesco Salviati, o magari i minuti dipinti di Lorenzo Lotto. Ma altrettanto memorabili potrebbero risultare le scelte fatte per l’allestimento. Oltre al ricordato color blu notte delle strutture temporanee che lasciano il chiaro soffitto della Sala Bianca libero di essere ammirato, degno di plauso è l’aver circondato i suggestivi lampadari accesi con un tessuto, ancora blu, dalla forma cilindrica, a creare un ulteriore filtro per l’immersione nell’atmosfera da sogno. È però una delle piccole stanze adiacenti che fa accedere al momento più intimo dei sogni, quello in cui possono verificarsi le apparizioni mistiche, come rammentano i dipinti di carattere religioso lì esposti: questa intimità è ben suggerita dall’assenza di luce diffusa e dalla decisione di illuminare, tramite faretti, esclusivamente ciascuna opera col suo cartellino, mentre tutto intorno si è circondati dal buio. Tutt’altro che casuale sarà stata infine la decisione di schiarire, via via che si avanza lungo il percorso, il tono del blu dei pannelli lungo le pareti: questo diventa color lapislazzuli proprio dove sono presenti i Medici – o il loro ricordo – , fino a divenire quasi celeste nell’ultima stanzetta, dove Aurora appare col carro del Sole e Venere finalmente apre gli occhi.

Sono dunque, forse, proprio le luci e i colori ad avere il ruolo principe nella mostra, invitando l’osservatore a divenire emotivamente partecipe di quelle apparizioni: in fin dei conti… cosa resta al nostro risveglio ogni mattina, se non una vaga rimembranza di sfocate immagini e, spesso, sconnesse visioni?

Paths of Wonder: Restored Works of Art in the Bargello

By Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

Visible already as one walks down the street heading toward the museum, a large red banner announces the annual exhibit at the Bargello National Museum, open until August 18 of this year. Usually, the spring exhibitions focus on one of the several famous sculptors or their masterworks housed in the museum. However, this time, the show not only highlights the lesser-known applied art pieces in the collection, but also their recent important restorations. Though the display is quite small, taking up only two rooms, it is particularly successful in conveying its topic to the visitor by embracing a theme of transparency in its choices throughout.

When entering the first space, one’s gaze falls immediately on the grand tapestry displayed on the far end of the wall. To the left, the viewer finds the introductory text panel about the exhibition. The text is written in both Italian and English, as are all materials for this show, and presents information about the works in each room. The panel both describes why it has been important to undertake this project and explains its choices of pieces to display alongside the main textile focal piece. Furthermore, the visitor is informed of all other explanatory material in the show, which concerns the restoration process and the exhibit itself.

Upon examining the several small pieces – such as silver incense boats, medallions, goblets, and crosses – that line the walls leading to the tapestry, it is clear that the informative theme continues even here. The labels do not simply give the title of the object and the date, but present the names of the conservators and sponsors of the project, some even clarifying further how the object is related to those around it. The focal work of each room has received a full text panel, which briefly describes the object’s history, as well as the conservation project. While these panels are revealing and openly discuss the problems faced during restoration, they do utilize some technical phrases that the average visitor may not know. To solve this issue, the panels could simply have a word list at the bottom with these definitions.

Each of the two rooms of the show has a relatively short six- to eight-minute video, which plays continuously, the soft accompanying music blending into the background. Though their sounds are not distracting, the screens are placed in a location that is readily visible upon entering the room and allows the viewer to glance back at the artwork while watching the video. The texts displayed on the monitor are bilingual, yet here again, the visitor encounters some unfamiliar conservation vocabulary. The same simple fix applies to this situation: labels with definitions of these words on the wall next to the video screen. Like the other texts throughout the exhibition, the videos openly explain the restoration processes, highlighting the challenges faced, as well as the reasons for the decisions eventually made.

In the second space, the entirety of the small area is devoted to a single sculptural piece. Here, the video and texts describe the history of the object, and its artist, as well as the project to restore it. In keeping with the attitude of clarity, the panels clearly outline which colors are not original and why some parts of the work have had to be reconstructed. Though the information is quite interesting, the display of the room itself feels somewhat bare. Instead of leaving blank walls with only a video in the front and one sculpture at the end of the room, the restored objects could have been spread more evenly between the two areas.

In presenting the entire process of conserving these objects, as well as the challenges and ultimate decisions, the exhibit allows the visitor to feel more included or interested in the project and, perhaps, more excited about the successful results. Through this theme of transparency, the show encourages the viewer to question the restoration choices, yet always provides a thorough justification for those decisions made. In this way, the twofold goal of the exhibition is reached: the visitor is able to learn about the histories of these lesser-known applied arts in the Bargello’s collection through the point of view of their culturally important restoration.

 

Percorsi di Meraviglia. Opere restaurate del Bargello

di Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

Visibile già quando si cammina lungo la strada in direzione del museo, un grande cartellone pubblicizza l’esposizione temporanea al Museo Nazionale del Bargello, aperta fino al 18 agosto di quest’anno. Normalmente le mostre primaverili affrontano uno dei molti famosi scultori oppure i loro capolavori ospitati nello stesso museo, mentre stavolta l’evento non solo evidenzia i pezzi di arte applicata meno noti della collezione, ma anche i loro importanti e recenti restauri. Sebbene la mostra sia abbastanza piccola, consistendo solo in due stanze, è particolarmente efficace nel comunicare il suo scopo al visitatore abbracciando un tema di chiarezza in tutte le sue scelte.

Entrando nel primo ambiente, lo sguardo casca subito sul grande arazzo esposto sulla parete opposta della stanza. A sinistra l’osservatore trova il pannello introduttivo all’esposizione, col testo redatto sia in italiano che in inglese (così come lo sono tutti i materiali presentati in questa occasione) che fornisce informazioni sulle opere in ogni sala. Il pannello descrive sia perché è stato importante promuovere questo progetto, sia le motivazioni che stanno dietro alle scelte dei pezzi da esporre insieme a quell’opera tessile che accentra tutta l’attenzione. Inoltre il visitatore è informato di tutti gli altri materiali didascalici a disposizione, riguardanti il processo di restauro e la mostra stessa.

Esaminando i diversi piccoli oggetti – come navicelle da incenso in argento, placchette, calici e croci – che stanno allineati lungo le pareti fino a giungere all’arazzo, è chiaro che il tema della trasparenza continua anche qui. I cartellini non recano semplicemente il titolo dell’opera e la data, ma presentano i nomi dei restauratori e degli sponsor del progetto, alcuni anche spiegando meglio come l’oggetto sia legato a quelli vicini. All’opera principale di ogni stanza è dedicato inoltre un apposito pannello esplicativo, che descrive brevemente la storia del pezzo nonché il progetto di conservazione. Questi pannelli sono didattici e discutono apertamente i problemi che si sono verificati durante il restauro,  ma utilizzano del lessico tecnico che il visitatore medio può non conoscere: per risolvere questo inconveniente i pannelli avrebbero, semplicemente, potuto essere corredati di una lista di parole con definizioni.

Ciascuna sala ospitante l’esposizione presenta un video relativamente breve, della durata di 6-8 minuti, che viene proiettato in continuazione, con la musica soffusa che accompagna, in sottofondo, la visita. Sebbene tali suoni non distraggano, gli schermi sono posizionati in maniera davvero visibile non appena si entra, consentendo all’osservatore di lanciare occhiate alle opere pur guardando il video. I testi sul monitor sono bilingue, ma ancora una volta il visitatore incontra alcune parole del vocabolario del restauro poco familiari. La stessa, semplice soluzione si poteva applicare a questa situazione: didascalie con definizioni di tali vocaboli sulla parete accanto allo schermo video. Come gli altri testi in tutta la mostra, i filmati raccontano ampiamente le fasi di restauro, evidenziando le sfide affrontate e le ragioni per le scelte eventualmente prese.

Nel secondo spazio, l’intera piccola area è dedicata a un singolo pezzo di scultura. Qui video e testi descrivono la storia dell’oggetto e il suo artista, come il suo progetto di restauro: ancora con lo spirito della massima chiarezza, i pannelli mostrano bene quali colori non sono originali e perché alcune parti dell’opera sono state necessariamente ricostruite. Anche se queste informazioni sono piuttosto interessanti, l’allestimento della stanza stessa sembra, in qualche modo, spoglio. Invece di lasciare le pareti vuote con solo un filmato davanti e una scultura in fondo alla sala, gli oggetti restaurati avrebbero potuto essere disposti più diffusamente tra le due aree.

Grazie alla presentazione dell’intero processo di restauro di questi pezzi, come anche delle sfide e delle decisioni prese, la mostra permette al visitatore di sentirsi più coinvolto o interessato nel progetto e, forse, più emozionato nel vedere l’efficacia del risultato finale. Attraverso questo tema di  chiarezza l’esposizione stimola l’osservatore spingendolo a interrogarsi sulle scelte prese nelle fasi di restauro ma sempre fornendo una valida giustificazione riguardo ad esse. In questo modo il duplice scopo della mostra è raggiunto: il visitatore è in grado di imparare qualcosa sulla storia delle meno note arti applicate della collezione del Museo del Bargello, attraverso il punto di vista del loro – culturalmente rilevante – restauro.

Inevitable Figuration at the Pecci Museum in Prato

By Maria Rosa Ventimiglia (University of Florence)

Inevitable Figuration is the title of the exhibition which, until July 8, will be hosted at the Luigi Pecci Center for Contemporary Art. It is an emblematic title, which immediately brings us to the question that the curators themselves, Marco Bazzini and Davide Ferri, have posed in conceiving the show: in what ways do paintings today tackle representation? The exhibit proposes to investigate the role of painting after 2000, a theme which, until today, has not been confronted in an Italian exhibition. Here, it is presented through the work of eighteen American and Italian artists, all born after 1960. The show reflects an idea of “informative” exposition, a concept that greatly involves the viewer in its approach and is truly innovative for an exhibition in Italy.

The show begins with an introductory room, or antechamber, a space fully dedicated to understanding the exhibit. Two emblematic works that immerse visitors in the concepts and ideas developed by the curators are displayed on opposite sides of the room: Le Sommet du Regard by René Magritte and Eclisse by Giulio Paolini. These two artists are separated not only by a distance of years but also of style, and are juxtaposed in this way to shed light on the theme of the exhibit and to reveal different ways to investigate how reality is represented in painting.

Magritte works with the excess of representation, while Paolini prefers the extreme simplification of representation, reducing the painting to an empty mounting. The antechamber, a genius curatorial choice, permits us to effectively follow the analysis of the successive works, their common thread being the mediums used by artists that investigate everyday reality such as canvas, mountings, and colors. In addition, the first works by Magritte and Paolini are perfectly connected with the work presented at the end of the show, so as to highlight this cyclical work which concludes our cognitive journey in the same way that it began. Luca Bertolo’sIl ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan (the return of US troops from Afghanistan) from 2013 is the only work created specifically for the exhibit. Bertolo investigates a reality which is not yet concrete, indeed representing not an event but the back of a canvas that has yet to be painted.

The entire display encourages dialogues about similarities and differences, made clear through the rooms differentiated by genres such as portraiture or still lives. Each area displays explanatory panels in both Italian and English that discuss how it is possible to reinvent the strategies of representing reality, radicalizing it in abstraction or in excessive narration. However, one cannot deny that some additional texts could be useful to clarify the complexity of the argument, especially for those visitors who are not familiar with such works or concepts. Even though the space is focused and easy to navigate, the only downside to the display is the lack of chairs or benches to allow viewers to comfortably reflect on the works.

In conclusion, the exhibition offers a great opportunity to understand painting of today, which often seems to be forgotten but still exists, and which, in this show, lives up to its potential. Furthermore, I heartily invite viewers to also visit the other two exhibits at the Pecci Museum, no less important or interesting, such as Reflected Zones, displaying the works of Paolo Scheggi, and the exhibition on books by the architect Ettore Sottsass.

It is possible to visit the exhibits every day except Tuesdays, from 10:00 am to 7:00 pm.

Starting June 5: every day, except Tuesdays, from 4:00 pm to 11:00 pm.

 

 

La Figurazione Inevitabile al Museo Pecci di Prato

di Maria Rosa Ventimiglia (Università di Firenze)

La Figurazione Inevitabile è il titolo della mostra che fino all’8 luglio verrà ospitata all’interno del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Titolo emblematico, che ci riporta immediatamente alla domanda che gli stessi curatori, Marco Bazzini e Davide Ferri, si sono posti per l’ideazione della mostra: in che modo la pittura oggi affronta la rappresentazione?

L’esposizione, infatti, si propone di indagare il ruolo della pittura dopo il Duemila, tematica che fino ad oggi non era stata ancora affrontata in una mostra italiana e che qui viene presentata tramite l’analisi di diciotto artisti tra americani e italiani, tutti nati dopo gli anni Sessanta. La mostra rispecchia un’idea di esposizione dal carattere “informativo” che coinvolge molto lo spettatore, soprattutto per l’impostazione assolutamente innovativa per l’Italia.

Il percorso si apre con una stanza introduttiva che prende il nome di anticamera, una sala interamente dedicata alla comprensione della mostra, la quale viene spiegata attraverso l’esposizione di due opere emblematiche capaci di immetterci all’interno della riflessione sviluppata dagli stessi curatori. In due parti opposte della sala vengono esibiti soltanto due lavori: Le sommet du regard di René Magritte e Eclisse di Giulio Paolini. Due artisti stilisticamente lontani e che lavorano a distanza di anni, messi a confronto per far luce non solo sulla tematica presente in mostra, ma anche per svelare i diversi modi di indagare la realtà rappresentata in pittura: Magritte attraverso l’eccesso della rappresentazione e Paolini mediante l’estrema riduzione della rappresentazione, che riduce il quadro ad un solo telaio vuoto.

L’anticamera, geniale intuizione curatoriale, ci permette di seguire efficacemente l’analisi delle successive opere, il cui filo conduttore sono proprio i mezzi con i quali l’artista indaga ogni giorno la realtà, quindi tele, telai e colori. Inoltre, i lavori iniziali di Magritte e Paolini si legano perfettamente all’ultima opera presente alla fine del percorso, come ad evidenziare un evento ciclico che conclude il nostro viaggio conoscitivo nello stesso modo in cui era cominciato.

L’opera di Luca Bertolo Il ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan del 2013 è l’unica realizzata appositamente per la mostra. Qui Bertolo indaga una realtà ancora non concretizzata, che lo porta a non raffigurare un evento ma solo il retro di un tela che attende di essere dipinta.

L’intero allestimento ha dialoghi per assonanza e differenza, messo maggiormente in evidenza con delle sale differenziate per genere: possiamo trovare il genere del ritratto o il genere della natura morta. Ogni sala presenta dei  pannelli esplicativi sia in italiano che in inglese, che spiegano come è possibile reinventare le strategie di rappresentazione della realtà, estremizzandola in astrazione o in eccessiva narrazione. Non si può negare però che qualche didascalia in più potrebbe essere ancora più utile a chiarificare la complessità dell’argomento, soprattutto per quei visitatori non interamente inseriti nel settore. L’unica pecca dell’allestimento è l’assenza di sedie o panche per consentire all’ospitante di riflettere comodamente sulle opere esposte, anche se l’ambiente, concentrato e di facile percorrimento, non necessita di lunghe pause di rilassamento.

Concludendo, la mostra è un’ottima occasione per conoscere la pittura di oggi, una pittura che sembra essere stata dimenticata ma che ancora esiste e che in questa esposizione rivela tutte le sue potenzialità. Inoltre, invito calorosamente a visitare anche le altre due mostre presenti al Museo Pecci, non meno importanti e interessanti, come la mostra di Paolo Scheggi, Zone Riflesse, e quella sui libri dell’architetto Ettore Sottsass.

È possibile visitare le mostre tutti i giorni dalle ore 10 alle 19.  Chiuso il martedì.

Dal 5 giugno: tutti i giorni dalle ore 16 alle 23. Chiuso il martedì.

Samurai! Japanese Armory of the Stibbert Collection

By Justin Barber (Lorenzo de’ Medici)

The Japanese collection of the Stibbert Museum is certainly one of the great hidden gems of Florence and one of the most important of its kind outside of Japan. Unfortunately, due to building restoration needs, access to these works is extremely restricted, open only twice a week at a specific time, and by request. In a move to facilitate greater exposure to these magnificent objects, the new director of the Stibbert Museum, Enrico Colle, recently launched a special exhibition entitled Samurai! Japanese Armory of the Stibbert Collection. This has not only provided a rare opportunity to see a sizable proportion of the relatively unseen collection but also allows visitors to experience it in a new light.

The greatest advantage of the temporary show is the ability for one to visit this small selection of items from the museum’s much larger Japanese collection in a more personal and modern presentation than the original setting. Normally, the display of these items falls subject to the same praise and criticisms of the museum itself (see: The Stibbert Museum: A Cultural Paradox); however, Samurai! presents these pieces separately to allow them a chance to shine individually instead of within the intentionally overwhelming display of the permanent exhibition space. Moving through the dimly lit rooms, there is a carefully calculated introduction of different types of pieces from the collection, ranging from domestic items such as fans and furniture to the crowd-pleasing samurai armor and katana (the sword of choice for Samurai in both ceremony and battle).

The casing and lighting is definitively more up-to-date compared the rest of the museum, allowing more flexibility in the museological approach. The overall ambiance of Samurai! relays a sense of foreign mystery as the darkened rooms are lined with red mood lighting and bright spotlights, which highlight the individual pieces and allow visitors to visually explore their finer details. Traditional Japanese music with appropriate environmental sound effects emanates from a single room in the exhibition, creating a heightened sense of anticipation as one draws closer to its source: a grand display of complete suits of ceremonial armor.

This is not to say that Samurai! is flawless in its execution. The labels, while certainly an improvement upon the Stibbert’s traditional approach, are still only in Italian, robbing international visitors of a full understanding of this special presentation. Another issue is that of the display cases themselves, which are almost all placed against walls. The problem lies in the fact that the pieces are three-dimensional but can only be seen from one side, shortchanging the unique chance of seeing these objects individually. The show’s most unfortunate weakness, however, is the missed opportunity to capture or address the cultural context of each piece – something that is also missing from the usual, permanent display of the objects in the museum. For example, the Japanese traditionally attributed religious, spiritual, social, and even political qualities to their armor and swords, a fact that the exhibition fails to acknowledge.

In the end, the wonderful experience Samurai! provides the visitor far outweighs  any shortcomings; it is an admirable exhibition of a collection unlike anything else in Florence and perhaps even Europe. It is a rare chance to not only see some of the most outstanding pieces of Fredrick Stibbert’s personal collection in a different light, but also offers a glimpse into the potential the entire museum has to offer if given the proper chance. An excellent start for the museum’s new director!

 

Samurai! Armature giapponesi dalla collezione Stibbert

di Justin Barber (Lorenzo de’ Medici)

La collezione giapponese del Museo Stibbert è certamente uno dei più notevoli gioielli nascosti di Firenze e una delle più importanti del suo genere oltre i confini del Giappone. Sfortunatamente, a causa dei necessari lavori di restauro, l’accesso a questa collezione è estremamente limitato, consentito cioè soltanto due volte alla settimana, a specifici orari e su richiesta. Allo scopo di facilitare una maggiore fruizione verso questa magnifica raccolta, il nuovo direttore del Museo Stibbert, Enrico Colle, di recente ha inaugurato una mostra particolare dal titolo Samurai! Armature giapponesi dalla collezione Stibbert. Questa esposizione non solo consente al visitatore di avere la rara opportunità di vedere, con più libertà, una grande parte della collezione che normalmente è relativamente sconosciuta, ma la fa anche apprezzare sotto una nuova luce.

Il maggior pregio dell’esposizione temporanea è la possibilità di visitare questa piccola selezione di oggetti dalla più grande collezione giapponese del museo in un allestimento più personale e moderno rispetto alla disposizione originale dei reperti. Normalmente l’esibizione di tali oggetti diventa oggetto delle medesime lodi o critiche espresse nei confronti del museo stesso (vedi: Il Museo Stibbert: un paradosso culturale); comunque Samurai! Separa questi pezzi per dar loro la chance di brillare individualmente come in opposizione all’allestimento intenzionalmente affollato dello spazio dedicato alla esposizione permanente. Spostandosi attraverso le stanze dalla luce soffusa, si trova un’introduzione attentamente pensata per illustrare i differenti tipi di oggetti della collezione, passando piacevolmente in rassegna oggetti domestici come ventagli e mobilia, oppure la popolare armatura da samurai e la katana (l’arma preferita dai Samurai sia nelle cerimonie che in battaglia).

L’aspetto delle vetrine e l’illuminazione sono decisamente più aggiornati rispetto al resto del museo, consentendo più flessibilità nell’approccio museologico. L’atmosfera generale di Samurai! conferisce un senso di esotico mistero, poiché le stanze oscurate sono circondate da una debole luce rossa e da brillanti faretti che evidenziano i singoli pezzi in mostra: luci che permettono al visitatore di esplorare visivamente i dettagli più minuti. Musica tradizionale giapponese con appropriati effetti sonori proviene da una delle stanze dedicate alla mostra, creando così una sensazione di anticipazione appena qualcuno si approssima alla sua fonte, una grande esposizione di armature da cerimonia, complete di ogni loro pezzo.

Ciò non significa che Samurai! sia impeccabile nella sua realizzazione. Le didascalie, che certamente sono arricchite rispetto al tradizionale approccio dello Stibbert, sono però solamente in italiano, privando i visitatori stranieri di una preziosa chiave di accesso che questa speciale presentazione fornisce. Un altro punto riguarda la disposizione delle stesse vetrine, che sono poste contro una parete con, soltanto, una eccezione. Il problema sta nel fatto che i pezzi in mostra sono tridimensionali, e possono essere visti solo da un lato, riducendo l’unica possibilità di ammirare questi oggetti singolarmente. Il maggior peccato, comunque, è l’occasione persa per riuscire a catturare o comprendere il contesto culturale di ogni pezzo, qualcosa che manca anche nell’allestimento permanente del museo. Per esempio, i giapponesi attribuivano tradizionalmente qualità religiose, spirituali, sociali ed anche politiche alle loro armature e spade, un aspetto che passa sotto silenzio in Samurai!.

Infine, l’esperienza che Samurai! fa provare al visitatore riesce a superare i suoi difetti; una ammirevole esposizione di una raccolta diversa da ogni altra in tutta Firenze e, forse, in Europa. Si tratta di una preziosa chance non solo di vedere alcuni dei più interessanti pezzi della collezione personale di Frederick Stibbert sotto una diversa luce, ma anche per sbirciare nel potenziale che l’intera raccolta che il museo ha da offrire se gliene viene data la possibilità. Un eccellente inizio per il nuovo direttore del museo!

Amid Medici Splendor: Pope Leo X and Florence

By Giulia Bagni (University of Florence)

Until October 6, in the Medici Chapel museum, there will be a temporary exhibit about Pope Leo X, the first pope from the Medici family. The son of Lorenzo the Magnificent, he rose to become the bishop of Rome in 1513, exactly five hundred years ago. The exhibition takes place in the crypt of the museum, extending into the Chapel of the Princes and the New Sacristy of Michelangelo before finishing back in the crypt. The path through the show, however, presents some difficulties, as it is not immediately clear how one should move throughout the space.

The exhibit starts in a sort of enclosure in the center of the crypt, where one is introduced to the figure of the future pope, Giovanni de’ Medici, beginning with his Humanistic education. This instruction was gained through his relationship with intellectuals such as Agnolo Poliziano, to whom the curators pay too little attention, as is seen in the whole show, leaving it to the visitors’ imagination to understand what this education consisted of. Once outside this section, which tells also of Giovanni’s election to cardinal at only fourteen years old, the exhibition continues in two niches along the outer walls of the crypt. Here, the event of the expulsion of the Medici from Florence in 1494 is illustrated. One may not understand why there is a video projection in this area showing the virtual reconstruction of the decorative ephemera that accompanied Pope Leo X’s triumphal entrance into Florence in 1515. Furthermore, this same video – but this time with audio – may be seen again in a later section that focuses on this topic.

At this point, the display continues to the upper floor, in the Chapel of the Princes, but if a group of rowdy students abandoned by their teacher covers up the signage, which happened to me, one may accidentally circle the entire crypt, missing the stairs, and notice a strange jump in time. Perhaps, in addition to the indications on the walls, it would be better to also use a red velvet rope to block people from following the circular path of the crypt and, instead, direct them to ascend the steps up to the chapel. In this area, where again we are faced with a circular space, the visitor is supposed to proceed in a counter-clockwise direction but, without any sort of guidance, one could take any course he or she prefers. Here, the intent was to highlight the role of Leo X as pontificate, both in Rome and in Florence. Yet again, the topic in question is addressed too quickly and the few exhibited works, let alone their relevance, do not help the visitor to create a correct vision of the political, historical, and artistic climates of the time. Already mentioned, the most interesting thing is the virtual reconstruction of the temporary structures made during the triumphal entrance of Leo X into Florence.

Exiting the Chapel of the Princes, one continues into the New Sacristy of Michelangelo, where the phases leading up to the creation of the sacristy, commissioned by Leo X, are displayed in a small adjacent room. From here, one returns finally to the crypt, where it is instead intended to illustrate each of the stages of the (unfinished) project of creating the facade of the church of San Lorenzo, also commissioned by the pope to Michelangelo. The narration of this episode is told by a helpful video with sound where, in addition to illustrating the development of the commission and the creation, the façade is virtually reconstructed, giving the visitor an understanding of the monumentality that Michelangelo’s project would have signified for the church and for the surrounding square.

Really, in this last part of the exhibit, another critical point makes it clear the degree to which the Medici Chapels are probably not the best place to organize a show that attempts to present to the greater public such an important personality of the Medici family. In fact, the last section is displayed in the bookshop space.

In conclusion, despite the surely interesting idea of investigating such an important character perhaps somewhat unknown to many, the exhibition does not fully succeed in its intention as, given such a poorly suited museum space, it ends up creating a superficial and vague approach to the figure of Leo X.

All of the texts are translated also into English, while the videos have subtitles.

For more information, visit the website: http://unannoadarte.it/leonex/eng/index.html

 

Nello splendore mediceo. Papa Leone X a Firenze

di Giulia Bagni (Università di Firenze)

Fino al 6 ottobre, all’interno del museo delle Cappelle Medicee, è in corso una mostra temporanea dedicata alla figura di Leone X, primo papa della famiglia Medici, nonché figlio di Lorenzo il Magnifico, il quale salì al soglio di Pietro nel 1513, esattamente cinquecento anni fa.

L’esposizione si sviluppa all’interno della cripta del museo, per poi proseguire nella Cappella dei Principi, nella Sagrestia Nuova di Michelangelo e terminare nuovamente nella cripta. Il percorso, però, presenta molta criticità poiché non è immediatamente percepibile come ci si debba muovere all’interno dello spazio.

La mostra comincia in un “recinto” al centro della cripta dove viene presentata la figura di Giovanni de’ Medici, futuro papa, a partire dalla sua formazione umanistica; formazione ricevuta tramite la frequentazione di intellettuali quali Agnolo Poliziano a cui i curatori, come si riscontra in tutta la mostra, hanno accennato in modo troppo frettoloso, lasciando all’immaginazione del visitatore capire in cosa consistesse questa educazione.

Una volta fuori da questa sezione, in cui si dà conto anche dell’elezione di Giovanni a cardinale avvenuta a soli quattordici anni, l’esposizione continua in due nicchie dei muri perimetrali della cripta, dove si illustra l’evento della cacciata dei Medici da Firenze nel 1494; non si capisce perché in questa area venga proiettato il video con la ricostruzione virtuale degli apparati decorativi che accompagnarono l’ingresso trionfale di Leone X nel 1515 a Firenze. Fra l’altro lo stesso video, questa volta corredato di audio, può essere visto anche in una sezione successiva in cui si parla proprio di tale episodio.

A questo punto il percorso prosegue al piano superiore, nella Cappella dei Principi, ma se una scolaresca vociante e abbandonata a se stessa vi coprirà la segnaletica, come è successo a me, sarete portati a completare il giro della cripta, salvo poi accorgervi dell’avvenuto salto temporale; forse oltre alle indicazioni sarebbe stato opportuno mettere anche un cordone che impedisse alle persone di seguire il percorso circolare della cripta, e le costringesse a salire le scale per accedere alla cappella. In quest’ultima, dove ancora una volta ci troviamo di fronte a un ambiente circolare, il visitatore dovrebbe compiere il giro della visita in senso antiorario ma, non essendoci nessuna guida, ognuno segue l’andamento che preferisce. Qui l’intento era quello di evidenziare il ruolo svolto da Leone X in qualità di pontefice, sia Roma che a Firenze. Ancora una volta però la questione è trattata in modo troppo sbrigativo e le poche opere esposte, nonostante la loro rilevanza, non aiutano il visitatore a elaborare una visione corretta del clima politico, storico e artistico del tempo. Come si è detto, la cosa più interessante è la ricostruzione virtuale degli apparati effimeri per l’ingresso trionfale di Leone X a Firenze.

Usciti dalla Cappella dei Principi, si prosegue nella Sacrestia Nuova di Michelangelo, dove in una piccola stanza a essa contigua sono mostrati i passaggi che portarono alla realizzazione della sacrestia stessa, voluta da Leone X. Da qui si torna infine alla cripta, dove invece si intende illustrare in tutte le sue fasi il progetto, mai portato a termine, per la realizzazione della facciata della chiesa di San Lorenzo, altra commissione leonina affidata a Michelangelo. La narrazione della vicenda è affidata a un efficace video corredato di audio dove, oltre a illustrare i vari passaggi della commissione e del cantiere, la facciata è ricostruita virtualmente, dando al visitatore la consapevolezza della monumentalità che il progetto michelangiolesco avrebbe significato per la chiesa e la piazza circostante.

Proprio in questa ultima parte della mostra si evidenzia un altro punto critico, che forse fornisce la misura per capire come le Cappelle Medicee non siano probabilmente l’ambiente più adatto in cui organizzare una mostra che ha come mira quella di presentare al grande pubblico una personalità così importante della famiglia Medici: l’ultima sezione è infatti allestita nello spazio del bookshop.

In conclusione, nonostante l’idea sicuramente interessante di indagare un personaggio forse sconosciuto ai più, la mostra non riesce pienamente nel suo intento poiché, complice lo spazio poco adatto del museo, dà luogo a un approccio poco approfondito e sommario rispetto alla personalità di Leone X.

Tutti i testi sono tradotti anche in lingua inglese, mentre i video sono corredati di sottotitoli.

Per ulteriori informazioni visitate il sito http://unannoadarte.it/leonex/presentazione.html

Museum of Dante’s House

By Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

Situated in the heart of Florence, between the Duomo and the Piazza della Signoria, is the Museum of Dante’s House. It is not difficult to find and, upon entering, is even easier to navigate: simply walk up the stairs directly ahead and one arrives immediately at the ticket desk. The home uses its interesting collection and display to tell the story of Dante Alighieri and the time period in which he lived. While some of the curatorial choices are somewhat disappointing, overall, the museum creates an atmosphere that introduces the visitor to the culture of Dante’s time.

Though there is some debate as to whether this building is truly the historical home of Dante, the museum has acknowledged this concern and presents a history of the house in an introductory text panel in the first room. Here, one is able to read about the project of locating the lost home of the poet and the research involved in its foundation and reconstruction. The text is well written and allows the reader to make his or her own judgments on the case.

It is relatively easy to orient oneself in the space – despite the three different levels of the museum – as there are signs above each doorway indicating the subject of the room and assigning each a number, giving the visitor a clear sequence to follow. Two of the rooms on the first floor provide a glimpse into the topics of political life in 13th- and 14th-century Florence and the division of the city into different sections. In the political room stands a single computer screen and keyboard, placed between the cases as if to complement the work on display, but it is not turned on or even functional. In the space dedicated to the city divisions of Florence, an interactive panel, that lights up as each section of the city is selected, accompanies the large model of the urban plan in the center of the room. Unfortunately, not all of the lights seem to be working, leaving the city (and the visitor) partially in the dark. While the content of the rooms  is quite interesting, the viewer could miss some of the more didactic information due to these interactive materials not functioning.

On the second floor, the foreign visitors might find themselves feeling somewhat forgotten, as the material is only in Italian. The text panels are all in Italian, as well as a voice that projects throughout the space, describing a battle between the Guelfs and Ghibellines. There is a stand in the corner of the room that looks as if it once was a holder for information cards in other languages; however, currently, it remains empty. It is a shame that non-Italian speakers will miss out on this display, as the voice describing the battle accompanies a miniature replica of the particular scene. The historical content of this area is quite interesting, though it is sadly not communicated well in other languages. Fortunately, the video room on this floor does include both Italian and English audio. The video shows engravings and other images of the Divine Comedy, with quotes from the work read in both languages. However, though the installation is interesting, one must sit in the room for at least fifteen minutes in order to watch the whole thing. As this is too much time for a single room, many visitors continue on to see the rest of the museum. Cutting the video down to perhaps five minutes would allow for observers to watch it in its entirety.

To proceed to the third – and last – floor, the visitor does not have the option of an elevator and must ascend the stairs. Here, one notices that the museum has continued its exhibition through the stairwell: family crests hang on the walls lining the steps, each with a short text and a reference to Dante’s mention of the family in his Divine Comedy. On arriving at the top section of the museum, one is greeted by copies of each of the three canticles of the poem, along with a large panel that shows the entirety of the work. While the display is visually pleasing, as it is also supplemented with illustrations of the Inferno, Purgatory, and Paradise, the position of the works is disappointing. The manuscripts are all placed along the wall opposite a very large window, allowing sun to shine directly onto the paper materials. It is only upon further inspection that one is able to read (again, only in Italian) that it is a modern copy of the Divine Comedy. However, some of the other books, such as the smallest edition of the poem legible to the human eye, are valuable not just for their age, but for their rarity. It is unfortunate that these have been allowed to remain in this position where they are exposed to potential damage. Also in this area is a display of costumes, which brings the visitor into the feeling of the medieval atmosphere, though it does not contain any labels to inform them.

Overall, the Museum of Dante’s House does a very nice job to use its collection and artworks to immerse the visitor in the time of Dante. Though some of the display choices should be updated or reworked, the museum provides an interesting historical look into the life and culture of Dante’s world.

 

Museo Casa di Dante

di Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

Situato nel cuore di Firenze, tra il Duomo e Piazza della Signoria, si trova il Museo Casa di Dante. Non è difficile da individuare e, entrando, è ancora più semplice capire come muoversi: basta solo salire le scale che si vedono subito per arrivare immediatamente alla biglietteria. La casa usa la sua interessante collezione e il proprio allestimento per raccontare la storia di Dante Alighieri e il periodo storico in cui visse. Sebbene alcune scelte curatoriali siano piuttosto criticabili, tutto sommato il museo crea un’atmosfera che introduce il visitatore alla cultura del tempo di Dante.

Anche se tuttora si dibatte sull’autenticità di questo edificio, se sia, cioè, la reale abitazione storica di Dante, il museo accenna a tale problematica e presenta una storia della casa in un pannello introduttivo nella prima stanza. Qui si può leggere del progetto di localizzare la perduta abitazione del poeta e della ricerca svolta per istituire, con alcune ricostruzioni, lo spazio museale. Il testo è ben redatto e permette al lettore di fare le proprie constatazioni sull’argomento.

È relativamente facile orientarsi nello spazio – nonostante i tre differenti piani del museo – poiché si trovano indicazioni sopra ogni porta, a specificare il soggetto della stanza e assegnando a ognuna un numero, fornendo così al visitatore un chiaro ordine da seguire. Due delle sale al primo piano offrono uno sguardo sui temi della vita politica nella Firenze del XIII e del XIV secolo e sulla divisione della città in differenti sezioni. Nella stanza sulla politica si trova un computer, posizionato tra le vetrine come se fosse un complemento alle opere esposte, ma tutt’altro che acceso o solo funzionante. Nell’area dedicata alle divisioni cittadine di Firenze, un pannello interattivo, che si accende ogni volta in cui si seleziona una parte della città, accompagna il grande modellino della pianta urbana al centro della stanza. Sfortunatamente non tutte le luci sembrano funzionare, lasciando la città (e il visitatore) parzialmente all’oscuro. Mentre i concetti espressi nelle stanze sono abbastanza interessanti, l’osservatore potrebbe trascurare alcune delle informazioni più didattiche proprio a causa di questi malfunzionamenti.

Al secondo piano i visitatori stranieri potrebbero sentirsi un po’ dimenticati, dato che il materiale è soltanto in italiano. Le didascalie sono in italiano, così come lo è una voce che si ode nell’ambiente, a descrivere una delle battaglie tra Guelfi e Ghibellini. Un porta-depliants nell’angolo della sala sembra ricordare la sua funzione di oggetto usato per contenere le cartoline informative in altre lingue; comunque, adesso, resta vuoto. È una vergogna che chi non parla italiano non riesca a comprendere totalmente cosa si espone, giacché la voce che descrive la battaglia accompagna una copia in miniatura di una di queste scene. Il contenuto storico di tale area è abbastanza interessante, sebbene non sia, tristemente, trasmesso al meglio in altre lingue. Fortunatamente la stanza video a questo stesso piano è dotata di audio sia italiano che inglese: il filmato mostra incisioni e altre immagini della Divina Commedia, con citazioni dall’opera, che è letta in entrambe le lingue. Comunque, sebbene l’installazione sia interessante, bisogna restare seduti nella stanza almeno per quindici minuti per poter guardare l’intero video. Siccome questo tempo diventa troppo per dedicarlo ad una singola sala, alcuni visitatori proseguono per vedere il resto del museo; tagliare il filmato, riducendolo magari a cinque minuti, permetterebbe agli osservatori di goderselo nella sua interezza.

Proseguendo al terzo – e ultimo – piano, il visitatore non ha la possibilità di usufruire di un ascensore e deve perciò salire per le scale. Qui, ci si accorge che il museo ha scelto di continuare con l’esposizione anche lungo le pareti della rampa: sono appesi infatti stemmi familiari, alcuni con un piccolo cartellino in cui sono riportati i passi della Divina Commedia che si riferiscono a tali famiglie. Arrivando in cima si è accolti da copie di ognuna delle tre cantiche del componimento, insieme a un grande pannello che mostra l’opera nella sua interezza. Mentre l’allestimento è visivamente piacevole, anche perché è corredato da illustrazioni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, la posizione delle opere risulta infelice. I manoscritti sono tutti posti lungo una parete dirimpetto ad una finestra molto ampia, che consente al sole di riflettersi direttamente sui materiali cartacei. Soltanto dopo una lettura più specifica si è in grado di riconoscere (ancora una volta, solo in italiano) che si tratta di una copia moderna della Divina Commedia. Comunque, alcuni degli altri libri, come la più piccola edizione esistente del poema leggibile dall’occhio umano, sono apprezzabili non solo per la loro antichità, ma anche per la loro rarità. È triste che questi siano stati lasciati in tale posizione, dove sono esposti a un potenziale danneggiamento. Ancora, in questa area, sono mostrati alcuni costumi che portano il visitatore a percepire l’atmosfera medievale, anche se la teca in cui sono inseriti non contiene alcun cartellino illustrativo.

Nel complesso, il Museo Casa di Dante svolge un lavoro molto piacevole, usando la sua collezione e le sue opere per consentire l’immersione del visitatore nel tempo di Dante. Sebbene alcune delle scelte nell’allestimento possano essere riviste e migliorate, il museo offre un interessante sguardo storico nella vita e nella cultura del mondo di Dante.

Joel Peter Witkin: The Master of his Masters

By Silvia Zanella (University of Florence)

Until June 24, the MNAF, the Alinari National Museum of Photography, is home to the exhibition, Joel Peter Witkin: The Master of his Masters, curated by Baudoin Lebon. Joel Peter Witkin – who began his career during the Second World War, during which he documented the daily life of American soldiers – works with his hands creating and printing collages. His themes deal with subjects that today’s society tends to reject, such as the deformation of the body, death as the counterpart of life, and mysticism. These are not easy topics to relay to the public; however, the curator has succeeded in presenting a display that helps in this approach.

The show is organized in an extremely logical way, one which both assists in understanding the works and reflects the artist himself. He is an artist in all respects, as, in most cases, he takes famous paintings and remakes them with models whose bodily beauty is the opposite of the Renaissance ideas to which one is accustomed. To understand this, one is helped by the display created by a series of panels that divide the rectangular temporary exhibition space. One enters into a sort of hallway and is assaulted by these disturbing images. Unfortunately, the introductory text panel explaining the exhibit is located on the wall next to the entrance, which is behind the visitor’s back, making it difficult to see. One finds it, then, at the end of the visit, but only in English, with the sense that the curator has forgotten the Italian translation.

The space is characterized by a logic that pervades every detail. First, the colors: Witkin’s photographs are almost all in black-and-white (silver bromide prints) and the display reflects this choice, while also enhancing it, as the panels on which the works hang are white, their frames are black, and their mattes are also white. In addition, black is the color of MNAF, which one may enter with little sense of continuity at the end of the exhibit. The passage from this, which is an example of the potential of a work of art in the hands of an artist, to the history of how photography has evolved is nuanced and natural. Returning to the temporary exhibit, it is important to highlight the use of dim lighting, which creates a soft atmosphere. This induces concentration, prevents reflections on the glass and, above all, helps in this connection of colors, which is the stylistic signature of Witkin’s works.

The subtitle of the show, “The Master of his Masters,” refers to the fact that each image surprises the viewer, reminding one of paintings which are difficult to identify at first, as the subjects are deformed, gruesome, and expressing death. The sensation is a mix of the familiar and the repressed. This is accentuated by the way in which the photos are displayed: in most cases, they are displayed in an isometric way (that is, all placed at the same height, particularly that of a medium-height man), so that one may better appreciate the works. On some walls, they are hung like tapestries, as in the old picture galleries, suggesting a homey mood, which is opposite of the sensation of the works.

As for the order of the exposition, the choice was thematic: the first area is a sort of corridor, with an isometric display of photos that remind one of famous works like Raphael’s La Fornarina on one side, and a “tapestry” on the theme of myth on the other. Then, one continues into a more or less square space with still lifes of chopped body parts; a third zone presents larger photos with famous references, such as Botticelli’s Birth of Venus or Delacroix’s Raft of the Medusa. Finally, passing through a door, one enters another section that does not exactly replicate the paintings, but rather presents typologies, like triptychs, or subjects, like Saint Sebastian.

In conclusion, the exhibit proves interesting in that the display facilitates the understanding of a contemporary artist who works with the disturbing and arouses a sense of discomfort.

 

Joel Peter Witkin. Il maestro dei suoi maestri

di Silvia Zanella (Università di Firenze)

Fino al 24 giugno si tiene al MNAF, Museo Nazionale Alinari della Fotografia, la mostra Joel Peter Witkin, Il maestro dei suoi maestri, curata da Baudoin Lebon. Joel Peter Witkin, che ha incominciato la sua carriera durante la Seconda Guerra Mondiale documentando la vita quotidiana dell’esercito americano, lavora manualmente creando e stampando dei collage. I suoi temi sono all’insegna di valori che generalmente la società di oggi tende a rifiutare, come la deformità corporea, la morte come parte integrante della vita e il misticismo. Non sono temi semplici da presentare al pubblico, tuttavia il curatore vi è riuscito studiando un percorso espositivo che aiuta in questo avvicinamento.

La mostra è organizzata in modo estremamente logico, il che riflette e aiuta ad accostarsi all’opera dell’artista. Egli lo è a tutti gli effetti poiché nella maggior parte dei casi riprende dipinti famosi e li fa riperformare da modelli che hanno criteri di bellezza corporea opposti a quelli rinascimentali a cui siamo stati abituati. Per capire questo si viene aiutati da un percorso, creato da una serie di pannelli, che dividono lo spazio rettangolare dedicato alle esposizioni temporanee. Si entra in una sorta di corridoio e si è aggrediti da queste immagini perturbanti. Purtroppo il pannello con la presentazione della mostra (e un aiuto alla comprensione) è collocato sulla parete a fianco dell’entrata che risulta alle spalle del visitatore, il quale difficilmente lo vede. Lo incontra poi al termine del percorso, ma in inglese, con la sensazione che il curatore si sia dimenticato la traduzione in italiano.

Il percorso è caratterizzato da una grandissima logica che pervade ogni dettaglio. In primis i colori: le fotografie di Witkin sono quasi tutte in bianco e nero (stampe al bromuro d’argento) e l’allestimento rispecchia questa scelta, anzi la amplifica poiché i pannelli su cui sono appese sono bianchi, le cornici nere e i passepartout nuovamente bianchi. Inoltre il nero è il colore dominante di tutto il MNAF, a cui si accede senza soluzione di continuità al termine della mostra. Il passaggio da questa, che rappresenta un’esemplificazione delle potenzialità di un’arte nelle mani di un artista, alla storia di come si è potuti giungere a questi risultati, si rivela sfumato e naturale.

Tornando a parlare dell’esposizione temporanea, bisogna sottolineare l’uso di una luce soffusa che crea un’atmosfera ovattata e che induce alla concentrazione, evita i riflessi dei vetri e soprattutto aiuta il gioco di rimandi dei colori che è anche la cifra stilistica dell’opera di Witkin.

Il sottotitolo della mostra, “Il maestro dei suoi maestri”, si riferisce al fatto che ogni immagine ci sorprende ricordandoci dipinti celebri, i quali però risultano difficili da identificare dal momento che i soggetti sono deformati, macabri, esprimenti la morte. La sensazione è mista di familiarità e rifiuto. Questa è valorizzata dalla maniera in cui le fotografie sono esposte: nella maggioranza dei casi in modo isometrico (cioè tutte alla stessa altezza, quella di un uomo medio) così da poter entrare bene nell’opera, mentre su alcuni pannelli sono disposte ad “arazzo” come nelle antiche quadrerie, suggerendo un’atmosfera casalinga che è opposta alle sensazioni che le opere suscitano.

Riguardo all’ordine di esposizione, la scelta è stata tematica: la prima area, che è una sorta di corridoio, vede fronteggiarsi un allestimento isometrico con fotografie che rimandano a opere famose come Raffaello e la Fornarina e uno ad “arazzo” sul tema del mito; poi si prosegue in uno spazio più o meno quadrangolare con nature morte realizzate con parti del corpo tagliate; una terza zona presenta fotografie più grandi, con riferimenti famosi, come la Venere di Botticelli o la Zattera della Medusa di Delacroix. Infine, varcando una porta, si giunge in un’altra sezione della mostra che non cita propriamente dei quadri, ma delle tipologie, come il trittico, o soggetti, come San Sebastiano.

Per concludere, la mostra si rivela interessante poiché l’allestimento facilita l’avvicinamento a un artista contemporaneo che lavora col perturbante e solleticando sensazioni di disagio.