Paths of Wonder: Restored Works of Art in the Bargello

By Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

Visible already as one walks down the street heading toward the museum, a large red banner announces the annual exhibit at the Bargello National Museum, open until August 18 of this year. Usually, the spring exhibitions focus on one of the several famous sculptors or their masterworks housed in the museum. However, this time, the show not only highlights the lesser-known applied art pieces in the collection, but also their recent important restorations. Though the display is quite small, taking up only two rooms, it is particularly successful in conveying its topic to the visitor by embracing a theme of transparency in its choices throughout.

When entering the first space, one’s gaze falls immediately on the grand tapestry displayed on the far end of the wall. To the left, the viewer finds the introductory text panel about the exhibition. The text is written in both Italian and English, as are all materials for this show, and presents information about the works in each room. The panel both describes why it has been important to undertake this project and explains its choices of pieces to display alongside the main textile focal piece. Furthermore, the visitor is informed of all other explanatory material in the show, which concerns the restoration process and the exhibit itself.

Upon examining the several small pieces – such as silver incense boats, medallions, goblets, and crosses – that line the walls leading to the tapestry, it is clear that the informative theme continues even here. The labels do not simply give the title of the object and the date, but present the names of the conservators and sponsors of the project, some even clarifying further how the object is related to those around it. The focal work of each room has received a full text panel, which briefly describes the object’s history, as well as the conservation project. While these panels are revealing and openly discuss the problems faced during restoration, they do utilize some technical phrases that the average visitor may not know. To solve this issue, the panels could simply have a word list at the bottom with these definitions.

Each of the two rooms of the show has a relatively short six- to eight-minute video, which plays continuously, the soft accompanying music blending into the background. Though their sounds are not distracting, the screens are placed in a location that is readily visible upon entering the room and allows the viewer to glance back at the artwork while watching the video. The texts displayed on the monitor are bilingual, yet here again, the visitor encounters some unfamiliar conservation vocabulary. The same simple fix applies to this situation: labels with definitions of these words on the wall next to the video screen. Like the other texts throughout the exhibition, the videos openly explain the restoration processes, highlighting the challenges faced, as well as the reasons for the decisions eventually made.

In the second space, the entirety of the small area is devoted to a single sculptural piece. Here, the video and texts describe the history of the object, and its artist, as well as the project to restore it. In keeping with the attitude of clarity, the panels clearly outline which colors are not original and why some parts of the work have had to be reconstructed. Though the information is quite interesting, the display of the room itself feels somewhat bare. Instead of leaving blank walls with only a video in the front and one sculpture at the end of the room, the restored objects could have been spread more evenly between the two areas.

In presenting the entire process of conserving these objects, as well as the challenges and ultimate decisions, the exhibit allows the visitor to feel more included or interested in the project and, perhaps, more excited about the successful results. Through this theme of transparency, the show encourages the viewer to question the restoration choices, yet always provides a thorough justification for those decisions made. In this way, the twofold goal of the exhibition is reached: the visitor is able to learn about the histories of these lesser-known applied arts in the Bargello’s collection through the point of view of their culturally important restoration.

 

Percorsi di Meraviglia. Opere restaurate del Bargello

di Randi Ringnes (Lorenzo de’ Medici)

Visibile già quando si cammina lungo la strada in direzione del museo, un grande cartellone pubblicizza l’esposizione temporanea al Museo Nazionale del Bargello, aperta fino al 18 agosto di quest’anno. Normalmente le mostre primaverili affrontano uno dei molti famosi scultori oppure i loro capolavori ospitati nello stesso museo, mentre stavolta l’evento non solo evidenzia i pezzi di arte applicata meno noti della collezione, ma anche i loro importanti e recenti restauri. Sebbene la mostra sia abbastanza piccola, consistendo solo in due stanze, è particolarmente efficace nel comunicare il suo scopo al visitatore abbracciando un tema di chiarezza in tutte le sue scelte.

Entrando nel primo ambiente, lo sguardo casca subito sul grande arazzo esposto sulla parete opposta della stanza. A sinistra l’osservatore trova il pannello introduttivo all’esposizione, col testo redatto sia in italiano che in inglese (così come lo sono tutti i materiali presentati in questa occasione) che fornisce informazioni sulle opere in ogni sala. Il pannello descrive sia perché è stato importante promuovere questo progetto, sia le motivazioni che stanno dietro alle scelte dei pezzi da esporre insieme a quell’opera tessile che accentra tutta l’attenzione. Inoltre il visitatore è informato di tutti gli altri materiali didascalici a disposizione, riguardanti il processo di restauro e la mostra stessa.

Esaminando i diversi piccoli oggetti – come navicelle da incenso in argento, placchette, calici e croci – che stanno allineati lungo le pareti fino a giungere all’arazzo, è chiaro che il tema della trasparenza continua anche qui. I cartellini non recano semplicemente il titolo dell’opera e la data, ma presentano i nomi dei restauratori e degli sponsor del progetto, alcuni anche spiegando meglio come l’oggetto sia legato a quelli vicini. All’opera principale di ogni stanza è dedicato inoltre un apposito pannello esplicativo, che descrive brevemente la storia del pezzo nonché il progetto di conservazione. Questi pannelli sono didattici e discutono apertamente i problemi che si sono verificati durante il restauro,  ma utilizzano del lessico tecnico che il visitatore medio può non conoscere: per risolvere questo inconveniente i pannelli avrebbero, semplicemente, potuto essere corredati di una lista di parole con definizioni.

Ciascuna sala ospitante l’esposizione presenta un video relativamente breve, della durata di 6-8 minuti, che viene proiettato in continuazione, con la musica soffusa che accompagna, in sottofondo, la visita. Sebbene tali suoni non distraggano, gli schermi sono posizionati in maniera davvero visibile non appena si entra, consentendo all’osservatore di lanciare occhiate alle opere pur guardando il video. I testi sul monitor sono bilingue, ma ancora una volta il visitatore incontra alcune parole del vocabolario del restauro poco familiari. La stessa, semplice soluzione si poteva applicare a questa situazione: didascalie con definizioni di tali vocaboli sulla parete accanto allo schermo video. Come gli altri testi in tutta la mostra, i filmati raccontano ampiamente le fasi di restauro, evidenziando le sfide affrontate e le ragioni per le scelte eventualmente prese.

Nel secondo spazio, l’intera piccola area è dedicata a un singolo pezzo di scultura. Qui video e testi descrivono la storia dell’oggetto e il suo artista, come il suo progetto di restauro: ancora con lo spirito della massima chiarezza, i pannelli mostrano bene quali colori non sono originali e perché alcune parti dell’opera sono state necessariamente ricostruite. Anche se queste informazioni sono piuttosto interessanti, l’allestimento della stanza stessa sembra, in qualche modo, spoglio. Invece di lasciare le pareti vuote con solo un filmato davanti e una scultura in fondo alla sala, gli oggetti restaurati avrebbero potuto essere disposti più diffusamente tra le due aree.

Grazie alla presentazione dell’intero processo di restauro di questi pezzi, come anche delle sfide e delle decisioni prese, la mostra permette al visitatore di sentirsi più coinvolto o interessato nel progetto e, forse, più emozionato nel vedere l’efficacia del risultato finale. Attraverso questo tema di  chiarezza l’esposizione stimola l’osservatore spingendolo a interrogarsi sulle scelte prese nelle fasi di restauro ma sempre fornendo una valida giustificazione riguardo ad esse. In questo modo il duplice scopo della mostra è raggiunto: il visitatore è in grado di imparare qualcosa sulla storia delle meno note arti applicate della collezione del Museo del Bargello, attraverso il punto di vista del loro – culturalmente rilevante – restauro.