BeGo – Museo Benozzo Gozzoli di Castelfiorentino

 
Di Giulia Bertelli (Università degli Studi di Firenze)
 

Inaugurato nel 2009 il Museo BeGo di Castelfiorentino è un edificio progettato e costruito appositamente per ospitare gli affreschi staccati da due importanti tabernacoli viari della Valdelsa, realizzati dal pittore fiorentino Benozzo Gozzoli sul finire del Quattrocento: il Tabernacolo con la Dormizione della Vergine, meglio noto come della Madonna della Tosse, poiché qui le madri portavano i loro figli ammalati di “tosse cattiva” per chiedere alla Vergine la grazia di guarirli, e il Tabernacolo detto della Visitazione.

Il distacco degli affreschi dalle loro sedi originali avvenne tra il 1965 e il 1970 per motivi di tutela, conservazione nonché per il successivo restauro.Custoditi nei depositi della Soprintendenza fiorentina furono in seguito esposti nelle sale della Biblioteca Comunale di Castelfiorentino, ma l’incongruo spazio, ne comprometteva la corretta lettura. Con il nuovo museo gli affreschi hanno finalmente trovato una sistemazione che ne esalta il loro valore tecnico-artistico e l’importanza che rivestono sia per il patrimonio culturale locale sia per la memoria storica della comunità Castellana e delle zone limitrofe.

La struttura esterna dell’edificio, progettato dall’architetto toscano Massimo Mariani, ha una particolare forma cubica con finestre aggettanti, ricoperta con paramento in cotto, in linea con i colori e i materiali delle chiese locali e un polifunzionale basamento curvilineo, che oltre a riportare alla memoria le panche di via dei palazzi rinascimentali, accoglie il visitatore e lo invita ad entrare ed esplorare il museo. Entrando, gli affreschi, seppur decontestualizzati, non perdono il loro fascino. Le strutture in cui sono accolti rispettano l’impianto e le dimensioni del sito originario, di conseguenza, anche le prospettive e gli effetti illusionistici voluti dal pittore, rimangono inalterati, inoltre, una combinazione di luce naturale proveniente dal lucernario sul soffitto e di luce a diffusione, intenzionalmente studiata per garantirne la conservazione, ne fa risaltare i colori.

Il tabernacolo della Visitazione, alto oltre sei metri è sistemato al piano terra insieme alle sinopie ritrovate durante i distacchi, ma occupa, con la sua mole, la quasi totalità dell’altezza dell’edificio.

Nel soppalco al primo piano padroneggia il Tabernacolo della Madonna della Tosse, di dimensioni più piccole rispetto all’altro. Qui, un ballatoio in vetro permette di avere una veduta ravvicinata delle parti più alte del tabernacolo della Visitazione, altrimenti impossibili da vedere dal piano terra.

La conservazione delle opere è garantita da un sistema di climatizzazione, monitorata tramite computer, che regola umidità e temperatura a seconda delle stagioni. Il percorso museale suggerito dal personale è discensionale: inizia dalla sala multimediale al secondo piano con il video introduttivo sulla vita, le opere e la tecnica di Benozzo Gozzoli, proiettato in italiano e inglese. Pannelli esplicativi e dettagliate didascalie in doppia lingua, permettono, anche ad un visitatore straniero, di approfondire i temi trattati.

Nell’intento di rendere il percorso coinvolgente per qualsiasi tipo di pubblico ed abbattere ogni barriera, dal 2013, il BeGo ha avviato una serie di progetti rivolti a persone affette da disabilità visive, uditive ed intellettive, includendo, nell’ultimo anno, anche altri musei della zona Empolese-Valdelsa. L’obiettivo è di creare un centro di sperimentazione e documentazione sull’accessibilità museale, in grado di comunicare, condividere e scambiare progetti con altre istituzioni.

Nel 2014 il museo ha inaugurato il percorso multisensoriale permanente per non vedenti e ipovedenti, pensato e creato non come un’area separata ma come complementare all’allestimento tradizionale. Con il supporto del personale qualificato, il visitatore può leggere e conoscere le opere tramite tavole tattili, didascalie in braille e supporti audio multilingue a disposizione nelle sale.

Nei prossimi mesi saranno disponibili anche video-guide LIS rivolte a persone con disabilità uditive.

Con l’adesione al progetto nazionale di inclusione sociale “Museo per tutti”, attivo dal 2015, il BeGo sta studiando percorsi e strumenti specifici per rendere il museo fruibile anche ad adulti e bambini con disabilità intellettive. Mentre, grazie al potenziamento del progetto “Storie ad Arte” del 2014, sono ancora attivi gli incontri e i laboratori mensili ‘TimeSlips’ e tattilo/sensoriali per malati di Alzheimer. Visite guidate, laboratori e percorsi didattici vengono inoltre organizzati per gruppi, scuole di ogni ordine e grado, bambini, adulti e famiglie.

Ben allestito, chiaro, semplice ma soprattutto senza barriere, il Museo BeGo di Castelfiorentino è godibile da tutti e questo è sicuramente un importante punto di forza.

Informazioni su orari di apertura, prezzo dei biglietti e iniziative sono disponibili sul sito www.museobenozzogozzoli.it oppure sulla più aggiornata pagina Facebook Museo Be Go.

 

 

Translation by Nona Debenham (Istituto Lorenzo de’ Medici)

 

Opened in 2009, the BeGo museum in Castelfiorentino is a building designed and built specifically to accommodate the frescoes detached from two important Valdelsa tabernacles, created by the Florentine painter Benozzo Gozzoli at the end of the fifteenth century: the Tabernacle with the Dormizione della Vergine, better known as Madonna della Tosse, because mothers brought their sick children with bad coughs to ask the Virgin the grace to heal them, and the tabernacle Visitazione.

The detachment of the frescoes from their original homes took place between 1965 and 1970 for reasons of protection, preservation and future restoration.

Stored in the warehouses of the Florentine Superintendence, they were later placed in the halls of the Municipal Library of Castelfiorentino, but the inappropriate space compromised the correct reading of the frescos.

With the new museum, the frescoes have finally found an accommodation that enhances their technical and artistic value and the importance they attach to both the local cultural heritage and the historical memory of the Castellana community and the surrounding areas. The exterior structure of the building, designed by the Tuscan architect Massimo Mariani, has a special cubic shape with protruding windows, covered with brick facade, uses the same colors and materials of the local churches. At the foot of the building, the multiuse curved base, recalls the street benches of the Renaissance palaces and welcomes the visitors to enter and explore the inside of the museum.

The frescoes, although decontextualized, do not lose their charm.

The structures in which they are housed respect the size of the original site, allowing the painter’s illusions and perspectives and effects to remain unaltered. This is achieved through a combination of natural light from a skylight on the ceiling and light diffusion, intentionally designed to ensure its preservation, making the colors stand out.

The Visitation Tabernacle, over six feet tall, is located on the ground floor along with the sinopias found during the twentieth century occupies, with its large size, almost the whole height of the building. On the loft of the first floor, the Madonna della Tosse, smaller in size than the Visitation Tabernacle, it keeps its original structure intact so the viewer can understand the perspective and illusionistic effects. Here a glass balcony allows the visitors to have a close view of the higher parts of the Visitation Tabernacle, which is otherwise impossible to see from the ground floor.

The preservation of the works is guaranteed by a computerized climate control system, which regulates humidity and temperature according to the seasons.

The museum’s suggested path is to descend from the top. The visitor starts in the multimedia room on the second floor with the introductory video on life, works, and technique by Benozzo Gozzoli, projected in Italian and English. Explanatory and detailed double-language captions, allowing a foreign visitor to deepen the topics discussed.

In 2013, BeGo launched a series of projects aimed at people with visual, hearing and intellectual disabilities, breaking down any barriers. In the past year, other museums in the Empolese-Valdelsa area have become involved in this initiative. The aim is to create a testing and documentation center on museum accessibility and to be able to communicate, share and exchange projects with other institutions.

In 2014 the museum inaugurated the permanent multisensory pathway for blind and visually impaired people, conceived and created not as a separate area but as complementary to the traditional set-up. With the support of qualified staff, the visitor can read and know the works through tactile tables, braille captions, and multilingual audio media available in the rooms. In the coming months, LIS video guides will also be available for people with hearing disabilities.

By joining the National Museum of Social Inclusion “Museum for All”, active since 2015, BeGo is studying specific pathways and tools to make the museum accessible to adults and children with intellectual disabilities. Thanks to the 2014 “Art Stories” project, the TimeSlips meetings and workshops are held regularly for Alzheimer’s patients.

Guided tours, workshops and educational paths are also organized for groups, schools of every level, children, adults, and families.

Well laid out, clear, simple but above all without barriers, the BeGo museum in Castelfiorentino is enjoyable by everyone and this is definitely an important point.

Information about opening hours, ticket prices, and initiatives are displayed on the site www.museobenozzogozzoli.it or on the most up-to-date Facebook Museo Be Go page.

 

Piccoli Musei. Il Museo della Collegiata di Sant’Andrea di Empoli


Di Costanza Peruzzi (Università degli Studi di Firenze)
 
Il patrimonio culturale del territorio fiorentino è composto da tante piccole realtà museali, disseminate nelle città limitrofe al capoluogo, meno conosciute, ma che conservano tesori che fanno la storia e la cultura di questo territorio e completano il racconto dei più celebri musei fiorentini.
Sono musei di varia natura, alcuni di recente formazione altri invece più antichi, come il Museo della Collegiata di Sant’Andrea di Empoli, uno dei più antichi musei ecclesiastici d’Italia, il cui atto di fondazione risale al 29 giugno 1859. Appena un anno dopo, grazie all’intercessione del Ministro del Governo Provvisorio della Toscana, Vincenzo Salvagnoli, di origini empolesi, uno dei due oratori che costituivano gli ambienti della Collegiata, divenne la prima, ancestrale, sede della pinacoteca.
In quegli anni di secondo Ottocento, sulla scia dei moti risorgimentali, la museologia italiana andava trasformandosi e questo museo potrebbe essere classificato come un’eccezione tra le novità: tra i tanti musei civici minori che andavano costituendosi, carichi di spirito campanilistico, incrementati dalle opere sottratte al patrimonio ecclesiastico (in rispetto alle “leggi Siccardi” del 1866) quello di Empoli, nato quasi un decennio prima, restava comunque di competenza ecclesiastica e conservava intatto il suo patrimonio. Aprì al pubblico alla fine degli anni Ottanta. Nei suoi primi anni di vita la collezione venne fortemente incrementata dalle donazioni delle famiglie empolesi più facoltose, consapevoli del vantaggio reciproco che una tale azione avrebbe garantito loro.

Si sono occupati del museo personalità come Guido Carocci, Ispettore della Soprintendenza, Piero Sanpaolesi, ingegnere, architetto, nonché esperto di restauro architettonico, il cui intervento venne interrotto dalla Seconda Guerra Mondiale; il Soprintendente Guido Morozzi e il Direttore del Gabinetto di Restauro Umberto Baldini, che seguirono i lavori di ricostruzione post-bellica e la riapertura degli spazi al pubblico nel 1956.
Gli ultimi interventi risalgono al 1990 quando, per volere Rosanna Caterina Proto Pisani, venne chiuso il tetto al di sopra dei lucernari del primo piano per evitare danni alle opere derivati dall’effetto serra che questi causavano. Da allora i lucernari filtrano una luce artificiale che simula l’effetto di quella naturale, garantendo una buona lettura delle opere senza effetti collaterali.
Pur affacciandosi su Piazza Farinata degli Uberti, piazza principale della città, un tempo sede del potere ecclesiastico e civile, l’ingresso del Museo della Collegiata rimane piuttosto in secondo piano e, nell’idea odierna di museo, percepito come luogo in cui il patrimonio culturale si conserva e si trasmette alla società, questo aspetto incide negativamente sulla sua immagine complessiva e soprattutto sulla sua frequentazione.

All’interno, il punto di accoglienza al visitatore, angusto e tappezzato di inutili locandine, non migliora affatto la situazione. L’accesso alla prima sala è però piuttosto suggestivo: vi si accede varcando un piccolo ricetto adornato da due angeli reggicandelabro in legno, eseguiti nel 1623 da Felice Fiorentino. La sala è ospitata nell’ex Battistero (XI secolo) e presenta subito opere di rilievo: il fonte battesimale di Bernardo Rossellino (1447) e il Vir dolorum (1424) di Masolino da Panicale, importante testimonianza dell’attività dell’artista a Empoli.
La seconda sala è allestita nell’ex Sagrestia e conserva le sculture (XIII-XVIII secc.) provenienti dalla Collegiata, dalla Chiesa di Santa Maria a Ripa e dal Convento di Santo Stefano degli Agostiniani, tra queste le due Madonne con Bambino di Giovanni Pisano e di Mino da Fiesole.
La Pinacoteca occupa le quattro sale del piano superiore al quale si accede ripercorrendo a ritroso le sale già visitate e ripassando dalla biglietteria (percorso purtroppo poco intuitivo), e qui sono esposte, in ordine cronologico, dal Trecento al Seicento, opere di Niccolò di Pietro Gerini, Lorenzo di Bicci, Agnolo Gaddi, Mariotto di Nardo, due trittici di Lorenzo Monaco, la Maestà di Filippo Lippi, capolavori della bottega fiorentina dei Botticini, che nelle zone della Valdelsa lavorò per circa quarant’anni. Di particolare rilevanza per la cultura storico-artistica del primo Seicento empolese è la tavola con L’incredulità di San Tommaso (1602) del pittore Jacopo da Empoli, che alla città deve i suoi natali.
Nel loggiato prospiciente il chiostro sono esposte le terracotte invetriate dei Della Robbia. La Madonna degli Ebrei di Andrea della Robbia è di sicuro il tabernacolo più celebre di Empoli, un tempo murato in Palazzo Pretorio.

Ogni sala è introdotta da una breve ma esaustiva storia degli spazi e delle opere, in doppia lingua, su un supporto vitreo neutro che rispetta le pareti in pietra degli ambienti storici del piano terra. Le opere sono individuate da un sistema didascalico piuttosto attempato, sono infatti trascorsi ventisette anni dall’ultimo allestimento, e si sentono tutti; come per le introduzioni, le informazioni sono complete, anche se manca la doppia lingua, ma i cartellini in cartoncino color crema, stampati ad inchiostro nero e sistemati in un supporto in plexiglas, sono esteticamente discutibili. Su alcuni compare il simbolo dell’audioguida, ma la signorina all’accoglienza ci confessa che il servizio non è ancora attivo.
Per fortuna il museo si racconta da sé e l’allestimento poco attuale non fa troppi danni per quanto riguarda l’arricchimento spirituale e conoscitivo di chi decide di visitarlo. Il problema del museo sta proprio qui, nell’esiguo numero di persone che si apprestano a farlo! La vera debolezza del Museo della Collegiata di Empoli è la mancanza di un’efficace comunicazione culturale, la promozione di eventi che accendano i riflettori sulle grandi opere esposte, sui personaggi che le commissionarono, sulla storia di questo museo precorritore dei tempi: laboratori didattici per bambini, visite guidate organizzate periodiche, o in occasione di particolari ricorrenze sarebbero auspicabili.

Punti di forza del museo sono le sue origini e il tesoro che custodisce e tramite questi si dovrebbe riuscire a catturare la curiosità di un pubblico che, purtroppo, a stento ne conosce l’esistenza, e far sì che la memoria preservata da queste mura diventi per Empoli e per la sua cittadinanza motivo di orgoglio.
Speriamo vivamente che i progetti in cantiere per la realizzazione di un ingresso più visibile, accogliente e invitante siano realizzati a breve, perché la storia di cui ci parla questo museo merita davvero di essere tramandata.
L’attuale collaborazione con Palazzo Strozzi, nell’ambito della mostra “Bill Viola. Rinascimento elettronico”, lascia ben pensare!

Per informazioni generali: www.empolimusei.it; www.inempoli.it; per maggiori informazioni sulla collaborazione con Palazzo Strozzi: www.palazzostrozzi.org

 

Translation by Nona Debenham (Istituto Lorenzo de’ Medici)

 

The cultural patrimony of the Florentine territory is composed of many small museums, dispersed in the neighboring lesser-known cities, which preserve treasures that complete the history, culture and the story of the most famous Florentine museums.
They are museums of various natures, some of which are older, such as the Collegiate Museum of Sant’Andrea di Empoli, one of the oldest ecclesiastical museums in Italy, whose foundation act dates back to June 29, 1859. Just a year later, thanks to the intercession of the Minister of the Provisional Government of Tuscany, The Collegiata became the first, ancestral, home of the Pinacoteca.

During the nineteenth century, in the wake of the Risorgimento, Italian museology was transforming and this museum could be classified as an exception among the novelties: among the many smaller civic museums that were setting up, loaded with parochial spirit, increased by works extracted from ecclesiastical heritage (in respect to the “Siccardi laws” of 1866), that of Empoli, born nearly a decade earlier, remained ecclesiastical and retained its heritage. It opened to the public in the late eighties. In its first years, the collection was greatly enhanced by the donations of the most opulent families, aware of the mutual benefit that such action would have guaranteed them.
Some notable people involved in the museum include: Guido Carocci, Inspector of the Superintendence, Piero Sanpaolesi, engineer, architect and architectural restoration expert whose intervention was interrupted by World War II and Superintendent Guido Morozzi, Director of the Restoration Umberto Baldini Cabinet, who followed the post-war reconstruction work and the reopening of the public spaces in 1956.

The latest interventions date back to 1990 when Rosanna Caterina and Proto Pisani wanted to remove the skylights of the first floor to avoid damages caused by the greenhouse effect. Since then, the skylights been remodeled to allow filtered artificial light that simulates the effect of the natural one, ensuring a good reading of the works without any side effects.
While overlooking the Piazza Farinata degli Uberti, the main square in the city, once the seat of ecclesiastical and civil power, the entrance of the Collegiate Museum remains somewhat in the background and, in today’s museum ideal, perceived as a place where heritage cultural heritage is preserved and transmitted to society, this aspect negatively affects its overall image and above all its attendance.
Inside, the reception point for the visitor does not improve the situation at all. Access to the first hall is however quite impressive: a small shelter adorned by two wooden angels and iron angels, made in 1623 by Felice Fiorentino, are on view. The room is the former eleventh-century Baptistery and immediately presents important works: the baptismal font of Bernardo Rossellino (1447) and the Vir dolorum (1424) by Masolino da Panicale, an important testimony to the artist’s work in Empoli.
The second room is set up in the former Sacristy and preserves the sculptures (13th to 18th century) coming from the Collegiate Church, the Church of Santa Maria a Ripa and from the Convent of Santo Stefano degli Agostiniani, including the two Madonna with child by Giovanni Pisano and Mino da Fiesole.

The Pinacoteca occupies the four halls of the upper floor, which can be accessed by tracing back the rooms that have already been visited and re-downloading from the ticket office, a path that is not intuitive. Here displayed, chronologically, from the fourteenth to the seventeenth century, are works by Niccolò di Pietro Gerini, Lorenzo di Bicci, Agnolo Gaddi, Mariotto of Nardo, two triptychs one by Lorenzo Monaco, the other by Filippo Lippi, and the masterpieces of the Botticini workshop, whom worked in the Valdelsa area for about forty years. Of particular importance for the historical-artistic culture of the first sixteenth-century Empolese is the table with the incredulity of San Tommaso (1602) by the painter Jacopo da Empoli, who is born in the city. In the courtyard facing the cloister are exposed the glassed terracotta of the Della Robbia. The Lady of the Jews by Andrea della Robbia is certainly the most famous tabernacle of Empoli, once in Palazzo Pretorio.

Each room is embedded in a brief but extensive story of spaces and works, in double languages, on a neutral translucent support that respects the stone walls of the ground floor environments. The works are identified by an old labeling system, and it has been twenty-seven years since the last update and it is noticeable. For the introductions, the information is complete but lacks the English translation. The labels are cream-colored cardboard, printed in black ink and placed in a Plexiglas holder and are aesthetically questionable. Some appear on the audio guide symbol but the guide informs the visitor that the service is not yet active. Fortunately, the museum speaks for itself and it does not damage spiritual enrichment of those who decide to visit it. The museum’s problem is in the small number of people who actually visit. The real weakness of the Collegiate Museum of Empoli is the lack of effective cultural communication, the promotion of events that illuminate the spotlight on the great works exhibited, the characters that commissioned it, the history of this pre-historic museum of the times. The addition of educational workshops for children, periodic guided tours or special occasions would be desirable. The strengths of the museum are its origins and the treasure it carries and through it, you should be able to capture the curiosity of an audience that, unfortunately, know the existence, and make the memory preserved by these walls become for Empoli and for its citizenship reason of pride. We strongly hope that the projects on the site for the creation of a more visible, welcoming and inviting entrance will be realized shortly because the story of this museum really deserves to be handed down. The current collaboration with Palazzo Strozzi, as part of the exhibition “Bill Viola. Electronic Renaissance “, let’s think!

For information: www.empolimusei.it; www.inempoli.it; on collaboration with Palazzo Strozzi: www.palazzostrozzi.org

 

(photo courtesy of Costanza Peruzzi)

 

Il Cinquecento a Firenze. Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna

Firenze, Palazzo Strozzi
21 settembre – 21 gennaio

Di Simona Anna Vespari (Università degli Studi di Firenze)
 
La mostra Il Cinquecento a Firenze. Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna si è aperta a Palazzo Strozzi, a Firenze, lo scorso 21 settembre ed è probabilmente uno degli eventi più attesi nel panorama culturale fiorentino. Curata da Carlo Falciani e Antonio Natali, la mostra si propone di celebrare uno dei secoli d’oro della città di Firenze, il Cinquecento, un’epoca caratterizzata da un estro intellettuale altissimo come si evince dal dialogo delle numerose opere che si susseguono nelle varie sale. L’evento si inserisce all’interno di una trilogia di mostre, quella dedicata al Bronzino nel 2010, e quella incentrata sulle figure di Pontormo e Rosso Fiorentino nel 2014, sempre a cura di Falciani e Natali, andando perciò a chiudere il cerchio di questa importante epoca culturale; oltretutto il dialogo con queste precedenti esposizioni ritorna anche nell’allestimento, con l’esposizione di opere che non era stato possibile esporre prima.

A dare il benvenuto al visitatore sono due capolavori degli anni Venti del Cinquecento, opera di figure cardine, che sarebbero stati il punto di partenza per il linguaggio artistico di tutto il secolo: il Dio Fluviale di Michelangelo, recentemente restaurato e visibile in tutta la sua potenza e il Compianto sul Cristo morto di Andrea del Sarto. Le opere sono disposte in un modo veramente suggestivo: l’opera michelangiolesca, al centro della sala, in posizione più bassa, offre al visitatore la possibilità di girarci attorno e vederlo da più angolazioni mentre sul retro risaltano i colori di Andrea del Sarto. Nella seconda sala, sulla parete centrale, sono disposte su fondo scuro, in un confronto di capolavori mai fatto prima se non sui manuali di Storia dell’Arte, tre Deposizioni di Rosso Fiorentino, Pontormo e Bronzino: qui l’allestimento è davvero efficace e fa comprendere chiaramente al visitatore le diverse soluzioni adottate dai tre artisti per interpretare uno stesso soggetto iconografico. La seconda parte della sala offre invece un panorama sulle arti fiorentine che precede la prima stesura delle Vite vasariane del 1550, un linguaggio che anticipa quello che si troverà nelle successive sale e che sarà tipico dell’entourage di Francesco I e Ferdinando I de Medici.

Le dimensioni eccezionali si ritrovano nelle pale d’altare della terza sala: si dispongono sulle pareti dell’intera sala, testimonianza dei canoni artistici dettati dal Concilio di Trento, mentre al centro troviamo lo splendido Crocifisso in bronzo del Giambologna, modello ispiratore per numerose opere del periodo. L’illuminazione nell’intera mostra è impeccabile nonostante la difficoltà che spesso si incontra nell’illuminare opere di grandi dimensioni e che qui invece risultano perfettamente visibili.

Il percorso continua attraverso la sala dedicata alla ritrattistica cinquecentesca e a quella dedicata allo studiolo di Francesco I, in cui si ritrovano una varietà di stili che convivono e che dialogano in modo diretto con la sala successiva, dedicata a raffigurazioni di miti e allegorie che fanno da contraltare al rigore religioso che aveva contraddistinto il linguaggio degli artisti che avevano aderito alla Controriforma.

La mostra si conclude con una sezione dedicata ad opere che aprono la strada al linguaggio seicentesco e che segna un altro capitolo nella storia artistica fiorentina.

Nel complesso attraverso l’esposizione di queste opere il visitatore può perfettamente rivivere un percorso attraverso uno dei periodi più affascinanti della storia dell’arte fiorentina: il tutto risulta molto ben curato e l’allestimento è supportato in ogni sala da chiari pannelli informativi in doppia lingua che introducono alla sezione che viene trattata, fornendo notizie storico artistiche, oltre alle didascalie che accompagnano ogni opera con una breve ma utile descrizione che la contestualizza all’interno del percorso in cui è inserita.

Per informazioni: www.palazzostrozzi.org

 

Translation by Nona Debenham (Istituto Lorenzo de’ Medici)
 
The exhibition, The Cinquecento in Florence. Between Michelangelo, Pontormo and Giambologna opened at Palazzo Strozzi in Florence on September 21st and is probably one of the most anticipated events in the Florentine cultural scene. Curated by Carlo Falciani and Antonio Natali, the exhibition aims to celebrate the golden age of the city of Florence, the sixteenth century, an era characterized by a very high intellect as evidenced by the dialogue of the many works that are displayed throughout the rooms. The event is part of a trilogy of exhibitions, the first being dedicated to Bronzino in 2010, and the second on the figures of Pontormo and Rosso Fiorentino in 2014; all three are curated by Falciani and Natali, thus closing the circle of this important cultural time. In addition, the dialogue with these previous exhibits returns with the inclusion of works that were not previously exhibited.

Two masterpieces of the sixteenth century, Dio Fluvial by Michelangelo, recently restored, and the Compianto sul Cristo Morto by Andrea del Sarto welcome the visitor. The works are arranged in a truly suggestive way, with the work of Michelangelo in the center of the room, in the lower position, it offers the visitor the ability to turn around and view it from many angles while on the back are the colors of Andrea del Sarto. In the second room, on the central wall, placed on a dark background, is a comparison of three Depositions masterpieces, only ever seen before in Art History textbooks. Hanging side by side are the depositions of Rosso Fiorentino, Pontormo, and Bronzino. The set-up is really effective and makes clear to the visitor the different solutions adopted by the three artists to interpret the same iconographic subject. The second part of the room offers a panorama of the Florentine arts prior to the writing of Vasari’s Lives of 1550, previewing what will be found in the preceding halls. On display are typical images created by the entourage of artists, who worked for Francis I and Ferdinando I de Medici.

In the third room located on the walls of the entire hall are the altar-pieces, a testament of the artistic cannons dictated by the Council of Trent, while in the center there is the splendid bronze Crucifix by Giambologna, inspirational model for numerous works of the period. Lighting throughout the exhibition is impeccable despite the difficulties that are often encountered in illuminating large works. In this exhibition, the works are perfectly visible.

The course continues through the room dedicated to portraiture of the sixteenth century and the one dedicated to the studio of Francis I, where a variety of styles coexist and interact directly with the next room. The following room is devoted to depictions of myths and allegories that contradict the religious rigor that characterized the style of the artists who had adhered to the Counter-Reformation.

The exhibition concludes with a section dedicated to works that open the way to seventeenth-century language and which marks another chapter in Florentine artistic history.

Overall in the course of the exhibition of these works, the visitor can perfectly relive a journey through a fascinating period of the history of Florentine art. Everything is very well looked after and the layout is supported in every room by clear information panels in double the language, introducing each section and providing historical artistic news. In addition to the captions that accompany each work, there is a brief but useful description that contextualizes its historical contribution.

For information: www.palazzostrozzi.org

 


 
(photo courtesy of Costanza Peruzzi)
 

The Franco Zeffirelli International Center for the Performing Arts

By Nona Debenham (Istituto Lorenzo de’ Medici)

 

Recently opened on September 1, 2017, the Franco Zeffirelli International Center for the Performing Arts gives visitors the chance to look into the life’s work of revered opera and film director Franco Zeffirelli. The Centre distinguishes itself as an unprecedented experience where people can observe and trace, through its permanent collection, exhibitions, events, classes and education courses, the birth and development of all the arts that blend together in a theatrical or cinematic production.
The center contains a permanent collection as well a space for temporary exhibitions. Located in the late 17th-century San Firenze Complex, which was originally the oratory of the Padri Filippini and more recently, the city courthouse; it is a short distance from the historic Palazzo Vecchio. The center offers access to not only thousands of books on art, history, and music but also courses on stage design as well as regular concerts and theatrical performances in its auditorium.

The museum at the Franco Zeffirelli International Centre for the Performing Arts, located on the first floor of the building, displays over 300 sketches, set design models, costumes and set photos that Franco Zeffirelli designed and collected since the beginning of his career. The rooms of the museum, in addition to holding the permanent collection of Zeffirelli’s works, will also host temporary exhibitions that relate to Zeffirelli’s career. Upon entering the center the visitor is greeted with grand staircase and one of Zeffirelli’s costumes as the centerpiece. As one ascends the staircase towards the museum entrance, music from the score of his movies is playing in the corridor setting the tone for the visitor experience. However, the actual entrance to the museum is further down the hallway and around the corner. It is only marked with a small sign, leaving the visitor unsure of the entry into the museum.
The setup of the Museum’s rooms is divided chronologically into three general categories, theater, opera, and cinema. The planned itinerary of the museum is well thought-out and guides the visitor along the career and artistic developments of Franco Zeffirelli. While there are signs indicating the path, it is easy to miss them and thus lose the didactic experience the curators intended. Each section illustrates the developments in Zeffirelli’s career and is complemented with set photos, costumes, and documents or 3-D models. Visitors to the museum are able to see the paintings and sketches that laid the groundwork for many of his productions, such as Don Giovanni and Carmen. Also featured are the costumes worn by figures such as Joan Sutherland, Gianni Raimondi, and Luciano Pavarotti. The museum uses audiovisual aids to complement the material. Allowing the visitor to really see into the creative process of Zeffirelli.

Due to the nature of the material, it is understandable why the museum uses technology to engage the visitor; however, there is lack of supporting material and the length of the audiovisual aids that detract from the museum experience. For example, in the center of the museum route is a room with a large projection screen and seating. In this space a video is played, on a loop, showing clips from Zeffirelli’s movies, operas, and theatrical productions. While the video is informative, it is extremely long, from start to finish the film lasts approximately 45 minutes. This is too long to expect a visitor to stay and watch in completion. It would be better executed to have shorter projections in each of the three sections of the museum instead of a long one in the middle. It can be overwhelming for the visitor. This is not the only instance where video projections are used in the museum. For example, in the Inferno room, there is another large projection, set to music, recreating the sketches that were inspired by Dante’s Divine Comedy, including projections of clouds onto the ceiling of the room. While the virtual projections are impressive, there is no explanatory text, or even subtitles, in any language, to accompanying the video projections. While there are labels throughout the museum they are inconsistent in the translation, as some are in both Italian and English and others are only in Italian. With improved labels and the addition of wall text the comprehension of the material could be greatly enhanced.

Overall a visitor who is unfamiliar with the works of Zeffirelli can leave the museum with a better understanding of his contribution to the theater and film industry. The museum, archive, and library, in their respective rooms, together with studios and classrooms dedicated to educational activities, the concert hall and the bar and restaurant make it a stimulating place for enthusiasts and scholars to meet, as well as encouraging interest among new generations of visitors.

For information on ticket prices, opening hours and more general information please click here.

 

Traduzione di Costanza Peruzzi (Università degli Studi di Firenze)
 
Aperto al pubblico il primo settembre 2017, il Centro Internazionale per le Arti dello Spettacolo “Franco Zeffirelli” offre ai suoi visitatori l’opportunità di sbirciare nel lavoro di una vita dello stimato regista di cinema e teatro.

Il Centro si contraddistingue come una realtà senza precedenti, dove è possibile osservare e seguire, attraverso una collezione permanente, mostre, eventi, laboratori e corsi accademici, la nascita e lo sviluppo di tutte le arti che convivono e confluiscono insieme nella produzione teatrale o cinimatografica.
Il Centro, ospitato nel secentesco Complesso di San Firenze, in origine Oratorio dei Padri Filippini e in tempi più recenti Palazzo di Giustizia della città, a breve distanza da Palazzo Vecchio, non solo dà l’opportunità di accedere a migliaia di testi di arte, storia e musica, ma offre anche veri e propri corsi di studio che contemplano tutte le discipline del mondo del teatro e del cinema (scenografia, costume, musica, regia, recitazione e scenografia), nonchè un ricco calendario di spettacoli teatrali e concerti nel suo auditorium.
Il Museo del Centro Internazionale per le Arti dello Spettacolo, situato al primo piano dello stabile, propone più di trecento schizzi, tra modelli di scenografie, costumi e set fotografici, che Franco Zeffirelli progettò e collezionò sin dall’inizio della sua carriera.
Gli spazi del museo, organizzati per ospitare la collezione permanente del lavoro di Zeffirelli, sono predisposti in modo tale da poter ospitare anche mostre temporanee, sempre relative alla sua carriera.

Entrando, il visitatore è accolto da una grande scalinata, dove uno dei costumi di Zeffirelli è posto a mo’ di colonna. Le scale che conducono al museo sono inondate dalle musiche dei suoi film che scandiscono il ritmo della visita.
Purtroppo l’entrata vera e propria del Museo rimane più in basso rispetto all’ingresso principale del Centro e nascosta dietro un angolo, indicata soltanto da una piccola insegna, e di lascia piuttosto spiazzato il visitatore intento ad accedervi.
L’allestimento delle sale è diviso cronologicamente intorno alle tre grandi categorie delle arti performative: teatro, opera e cinema. L’itinerario della visita è pensato per guidare il visitatore lungo la carriera e gli sviluppi artistici di Franco Zeffirelli, ma anche se presente, la segnalitica che indica il percorso, non è facile da seguire, e si rischia così di perdere l’intento educativo ambito dai curatori.

Ogni sezione illustra gli sviluppi della sua carriera, documentata attraverso foto, costumi, testi e modellini in 3-D. I visitatori hanno modo di vedere e scoprire disegni e bozzetti che furono alle origini di molte sue produzioni, come il Don Giovanni e la Carmen. Protagonisti di questi ambienti sono senza dubbio i costumi di scena indossati da attori quali Joan Sutherland, Gianni Raimondi e Luciano Pavarotti.

Il visitatore riesce a scrutare il vero processo creativo del maestro grazie all’utilizzo che il museo fa dei supporti audiovisivi. Per la natura stessa del matriale che qui si indaga, è comprensibile il motivo che ha spinto la direzione ad utilizzare la tecnologia per coinvolgere i visitatori. Ad ogni modo c’è una discrepanza tra i materiali di supporto e la lunghezza degli audiovisivi che nuoce all’esperienza museale: al centro del percorso di visita c’è una sala con un grande schermo e sedute dove viene riprodotto ripetutamente un video con spezzoni di film, opere e produzioni teatrali. Il video è fonte di preziose informazioni, ma è estremamente lungo, dall’inizio alla fine dura circa 45 minuti. Troppo lungo per espettarsi che i visitatori siano disposti a guardarlo per intero. Sarebbero da preferire brevi proiezioni, magari in ognuna delle tre sezioni del museo, piuttosto che un’unica lunga proiezione nel bel mezzo del percorso. Potrebbe essere più coinvolgente per chi visita.

Questa non è l’unica situazione in cui vengono proiettati filmati, per esempio nella sala Inferno, c’è un’altra lunga proiezione con base musicale che riproduce gli schizzi ispirati alla Divina Commedia di Dante,con nuvole proiettate sul tetto della stanza. Pur essendo molto suggestive, queste proiezioni virtuali mancano totalmente di testi esplicativi o sottotitoli, in qualsiasi lingua, e questo ne ostacola l’interpretazione. Al suo interno il museo è dotato di didascalie ma le traduzioni sono incoerenti, alcune sono in doppia lingua italiano-inglese, altre solo in italiano. Con un miglioramento dei cartellini e l’aggiunta di testi alle pareti, la comprensione del materiale risulterebbe senz’altro rafforzata.
Anche un visitatore che non abbia familiarità col lavoro di Zaffirelli potrà lasciare il museo con una migliore consapevolezza del suo contributo all’industria cinematografica e teatrale.
Il museo, l’archivio e la biblioteca, nelle loro rispettive stanze, insieme alle stanze utilizzate per le attività educative, la sala concerti, il bar e il ristorante, fanno del Centro un ambiente di incontro stimolante per gli ammiratori in visita e gli studenti, e stimolano l’interesse dei neofiti.

Per informazioni sul prezzo d’ingresso, gli orari di apertura, eventi e attività in programma visitate la pagina della fondazione a questo link.

(photo courtesy of Nona Debenham)

 

La Fragilità del segno. Arte rupestre dell’Africa nell’archivio dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria

Museo Archeologico Nazionale di Firenze
23 settembre – 26 novembre 2017

di Caterina Zaru (Università di Firenze)

 

Il Museo Archeologico Nazionale di Firenze ospita al suo secondo piano, fino al 26 novembre, la mostra La fragilità del segno. Arte rupestre dell’Africa nell’archivio dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria.

Curata da Anna Revedin, Luca Bachechi, Andrea De Pascale, Silvia Florindi, dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Firenze – Polo Museale della Toscana, l’iniziativa ha come obiettivo il far conoscere e rendere visibile la vasta e preziosa documentazione scientifica, fotografica e documentaria, posseduta dall’Istituto e relativa alle missioni e agli studi sull’arte rupestre africana, condotti da Paolo Graziosi durante i suoi viaggi in Africa tra il 1933 ed il 1972. L’importanza di questo materiale raccolto e oggi mostrato al pubblico, deriva dal fatto che Graziosi è considerato ancora il principale studioso italiano di arte preistorica, nonché fondatore dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. L’Archivio proviene dal lascito di Paolo Graziosi e comprende 10338 immagini digitalizzate di diapositive, di negativi e di positivi fotografici, nonché alcune decine di filmati in bianco e nero e a colori.

Gli intenti della mostra partono da quello che altro non è, se non l’attuale quadro geo-politico mondiale, che conduce, o dovrebbe condurre, tutti noi, e non solo i curatori della mostra, ad interrogarsi su quale possa essere il futuro delle più antiche e significative testimonianze del passato, in particolare in quelle zone colpite e martoriate da guerre e ideologie distruttive, come è oggi la Libia, paese tanto indagato da Graziosi e oggi inaccessibile a causa dei conflitti in corso. Ci si dovrebbe chiedere, anche, come preservare la memoria di questo patrimonio storico-culturale e quali possano essere gli strumenti per sensibilizzare ed avvicinare il vasto pubblico dei non addetti ai lavori a questo delicato argomento.

In mostra, viene così proposta, attraverso immagini e filmati dell’archivio fotografico Graziosi, testimonianza di alcune delle più antiche e straordinarie attestazioni artistiche dell’Umanità, quali le grandi incisioni preistoriche, censite da Graziosi in territorio libico. Il breve percorso espositivo si divide in tre sezioni, allestite in tre sole sale (quelle del secondo piano del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, che solitamente sono chiuse al pubblico e che, quindi, per questa occasione trovano una nuova funzione espositiva). La prima sezione introduce al tema del Patrimonio artistico e documentario in pericolo e fornisce delle prime informazioni riguardo la figura di Paolo Graziosi. La seconda sezione, invece, approfondisce la tematica delle ricerche condotte da Graziosi e oggi portate avanti da Luca Bachechi nell’attuale Etiopia. Infine, la terza sezione è dedicata alla proiezione di immagini e filmati sull’arte rupestre e sulle ricerche etnografiche di Graziosi in Libia.

Il tema “Segni in pericolo” fa da filo conduttore a tutta la mostra, dal momento che proprio uno dei siti studiati da Paolo Graziosi, quello di Tadrart Acacus in Libia, sito Patrimonio Mondiale UNESCO dal 1985, è stato inserito nel luglio 2016 nella Lista del Patrimonio Mondiale in Pericolo. Per questo motivo si è deciso di accompagnare il percorso espositivo con tre pannelli didattici (uno per sala) particolarmente significativi. Pannelli che analizzano proprio il tema del patrimonio in pericolo, presentandolo (quello nella prima sala) e sottolineando la ricchezza ed eccezionalità di quei siti (gli altri due), allo studio dei quali Graziosi ha dato un importante e fondamentale contributo, trattandosi di studi che sempre si rifanno all’analisi delle condizioni geografiche e climatiche dei territori in cui le realizzazioni artistiche sono state prodotte. Ma anche come e quanto queste condizioni abbiano influenzato le abitudini e gli stili di vita degli uomini primitivi.
Il percorso espositivo pur forzato nel suo procedere, offre la possibilità vedere e poi rivedere una seconda volta, alla luce di quanto mostrato nell’ultima sala, i documenti e i video esposti nelle due precedenti. Scendendo nello specifico, la mostra prende avvio nella prima sala con un video esemplificativo delle barbarie e della follia distruttrice dell’ISIS ai danni del patrimonio dall’inestimabile valore storico, artistico e culturale, mandato in frantumi proprio dal “Califfato”. Prosegue poi nella seconda con un’istallazione di video e riproduzioni dell’arte rupestre e dei territori del Corno d’Africa. Dedicando inoltre una piccola teca alla figura dello studioso Paolo Graziosi, autore anche di importanti saggi sull’argomento dell’arte rupestre, risultato delle sue missioni. La terza sala, non è solo affascinante ed accattivante da un punto di vista sensoriale, ma se gustata e osservata con calma e curiosità, risulta essere una vera e proprio esperienza che lascia lo spettatore un po’ più ricco, culturalmente parlando, di quando vi ha fatto il suo ingresso. I filmati, le fotografie, le ricostruzioni, anche animate, delle pitture rupestri e dei siti che le ospitano, delle missioni e degli scavi condotti da Graziosi, dei paesaggi e degli animali che li popolano, il tutto accompagnato da motivi musicali di chiara derivazione africana, costituiscono una bellissima e stimolante esperienza, sì, sensoriale, ma anche emotiva. Uscendo da quest’ultima sala, ciò che ci appare davanti agli occhi e che avevamo visto poco prima, ci appare diverso, perché ancora più bello, affascinante e, per questo, ancora più fragile. Ci si sente in dovere di difendere questa bellezza.

Accompagna la mostra, il catalogo, curato da A. De Pascale e L. Bachechi, con una ricca selezione di immagini tratte dall’archivio Graziosi ed una serie di brevi saggi introduttivi dal taglio divulgativo, quindi, adatti ad un pubblico non di soli addetti ai lavori, ma potenzialmente più ampio. Utili strumenti didattici, anche per il pubblico straniero, i depliant in lingua inglese, che traducono i testi dei pannelli esposti in mostra nella sola lingua italiana.

 

Translation by Nona Debenham (Istituto Lorenzo de’ Medici)

The National Archaeological Museum of Florence hosts on the second floor, the exhibition, The fragility of the Sign, on display until November 26. The exhibition contains African rock art from the archives of the Italian Institute of Prehistory and Protostoria. The exhibition is a collaboration with the National Archaeological Museum of Florence, and the Polo Museale della Toscana and curated by Anna Revedin, Luca Bachechi, Andrea De Pascale and Silvia Florindi. The aim is to make known the vast and important scientific, photographic and documentary research collected by Paolo Graziosi during his studies of African rock art in Libya between 1933 and 1972.

The importance of this material being shown today exemplifies the fact that Graziosi is still considered the principal Italian scholar of prehistoric art, and founder of the Italian Institute of Prehistory and Protostoria. The archives include over 10,000 digitized images from slides, negatives, and photographic positives as well as dozens of black and white movies.

The exhibition starts from the current world geopolitical framework that leads, or should lead, all of us, and not just the curators of the exhibition, to question the future of the oldest and most significant testimonies of the past, especially from areas affected and battered by destructive wars and ideologies, such as Libya, one of the countries studied by Graziosi, which is today inaccessible due to ongoing conflicts. The exhibition seeks to preserve the memory of this cultural and historical heritage and gives awareness, by attracting a wider audience to this delicate topic.

On display, are images and scenes of prehistoric engravings from the Libyan territory from the Graziosi archives. The images bring to light some of the most ancient and extraordinary artistic attitudes of humanity; the short exposition is divided into three sections, over the course of three rooms. The rooms on the second floor of the National Archaeological Museum of Florence, are usually closed to the public but for this occasion are included the exhibition. The first section introduces the theme of the cultural heritage that is in jeopardy and provides information about the figure of Paolo Graziosi. The second section, on the other hand, deepens the subject of research carried out by Graziosi and today carried by Luca Bachechi in present-day Ethiopia. Finally, the third section is devoted to the projection of images and footage of rock art and ethnographic research that Graziosi completed Libya.

The theme of “Distressed Signs” is the guideline for the entire exhibition, since one of the sites designed by Paolo Graziosi, the one of Tadrart Acacus in Libya, a UNESCO World Heritage Site since 1985, was listed in July 2016 as one of the World Heritage sites in danger. For this reason, it was decided to accompany the exhibition path with teaching panels in each section. The first panels analyze the theme of the heritage in danger, while the second two panels emphasize the richness and exceptionality of the sites that Graziosi brought to the forefront. The panels are an analysis of the geographical and climatic conditions of the territories studied by Graziosi and how these conditions influenced the habits and lifestyles of primitive men. The exhibition itinerary offers the opportunity to see and then revisit the documents and videos shown throughout the visit. The exhibition starts in the first room with a video of barbarism and ISIS demonstrating the inestimable destruction of the historical, artistic and cultural from “Caliphate”. It continues in the second area with an installation of video and reproductions of rock art from the territories of the Horn of Africa. Dedicating a small teacup to the figure of scholar Paolo Graziosi, author of important essays on the subject of rock art, the result of his missions.

The third room is not only fascinating and captivating from a sensory point of view, but also an experience that leaves the visitor culturally more aware than before visiting. The display of movies, photographs, animated reconstructions, rock paintings i accompanied by musical of clear African origin and constitute a beautiful and stimulating sensory and emotional experience. Exiting from this last room, what appears before our eyes and which we saw before, looks different, because it is even more beautiful, fascinating and, therefore, even more fragile. It is a duty to defend this beauty.

There is an exhibition catalog available, curated by A. De Pascale and L. Bachechi, which has a selection of images from the Graziosi archive and a series of short introductory essays, therefore, suitable for all audiences. Other useful educational tools include English brochures, which translate from Italian the texts of the panels displayed throughout the exhibition.

(photo courtesy of Costanza Peruzzi)
 

 

Opificio delle Pietre Dure

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By Katherine Reaume (Istituto Lorenzo de’Medici)

Dedicated to the craftsmanship of Pietre Dure, this gem of a museum is a stone’s throw away from the Accademia, yet it is overlooked by many tourists. Pietre Dure, a technique of cutting stones to assemble a complete image in a “mosaic” like fashion, was brought to Florence by Cosimo I. The “Galleria dei Lavori”,  which this museum occupies, was founded in 1588 by the Grand Duke Ferdinando I de’ Medici.

Though on the smaller side, this museum does not lack in information or displays. In each room, a stand can be found with a collection of information cards in multiple languages including English, Spanish, French, and Dutch. Each card corresponds nicely to the display providing enhanced information about each work, along with a short paragraph on the history of pietre dure or the collection’s connection to history.

This museum is not just made up of fancy tables or cabinets made from stone; it also displays sculptures and paintings. The paintings displayed are done in direct connection with work completed in the pietre dure style, providing an opportunity for visitors to see the inspiration for the work and make their own visual comparisons between the art and the inspiration. The display cases throughout the museum, though well laid out, do cause a bit of a problem. Lit from inside, the beams illuminate the works nicely near the top and bottom of the cases, but tend to leave the middle in shadow and darkness.   

Works are generally grouped together according to similar motifs and styles. The second story, called the laboratory, houses materials such as stones, instruments and work benches from the 17th, 18th and 19th centuries. It is here that visitors can sit and watch a video showing up close images of one of the works that can be found on the first floor. Multiple benches are available to sit and watch, yet this video does not provide much information about the work itself displaying only the name of the scene, and whether it is a detail is shown. Nothing about the process of the creation of this art is shown, unfortunately.

The final section of the museum has a slightly different feel, due to the presence of frescoes in the room. Many tables are displayed in this room, and a change in the motif is recognizable. Many tabletops are mounted to a wall, making it visually appealing, but this does not allow for visitors to get a close look at the works. In order to appreciate it, a visitor must stand almost on the complete opposite side of the room to view them.

Overall, this museum provides a unique opportunity to learn a bit more about the ancient technique of pietre dure and its connection to Florence. It is a sight worth seeing if you like intricate details and want to appreciate true craftsmanship.

 

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Traduzione di Tania Mio Bertolo (Università degli Studi di Firenze)

Dedicato all’arte manifatturiera del mosaico fiorentino, questo prezioso museo benchè si trovi ad un passo dalla Galleria dell’Accademia spesso sfugge all’attenzione dei turisti. Il commesso in pietre dure, la tecnica di tagliare le pietre in grandi masselli e successivamente assemblarli per creare un’immagine musiva, fu introdotta a Firenze da Cosimo I. Fu poi il Granduca Ferdinando I de’ Medici a fondare nel 1588 la “Galleria dei Lavori” in quegli stessi ambienti nei quali oggi ha sede il museo.

Benchè non grande, questo spazio espositivo non ha alcuna lacuna dal punto di vista della didattica museale e dell’allestimento. Difatti in ogni stanza si possono trovare delle schede informative che, compilate in diverse lingue oltre all’italiano tra le quali inglese, tedesco, spagnolo e francese, corrispondono felicemente all’allestimento fornendo sufficienti informazioni circa ogni opera, e sono inoltre arricchite da un breve paragrafo inerente la storia di tale arte manifatturiera e la creazione della collezione del museo.

L’allestimento mette in mostra sia tavoli da mobilia e stipi decorati e realizzati con la tecnica del commesso lapideo, sia opere scultoree e pittoriche. I dipinti esposti trovano corrispondenza con gli esemplari creati attraverso l’arte della lavorazione delle pietre dure, fornendo pertanto al visitatore l’opportunità di confrontare il manufatto con l’opera pittorica che lo ha ispirato. Benchè l’allestimento sia ben pensato, si può notare un piccolo difetto da un punto di vista museografico: i fasci di luce collocati all’interno delle teche espositive, nonostante illuminino molto bene le estremità superiori ed inferiori di ciascuna opera, tendono purtroppo a lasciare in ombra la parte centrale dei manufatti esposti.

Le opere sono raggruppate seguendo i criteri di similarità decorative e stilistiche. La seconda sezione, dedicata alla fase laboratoriale di questi manufatti, ospita diversi oggetti del mestiere come i tasselli delle pietre, gli strumenti e i banchi da lavoro risalenti ai secoli XVII, XVIII e XIX. È qui che il visitatore si può fermare e osservare un filmato che propone immagini ravvicinate inerenti uno degli esemplari esposti al primo piano. Numerose sono le sedute disponibili per chi voglia sedersi e guardare; tuttavia il filmato non formisce molte informazioni sul manufatto, ma solo la sua intitolazione e la posizione dei dettagli rispetto all’opera stessa: niente sfortunatamente circa il processo di creazione.

La sezione finale del museo è permeata da un’atmosfera diversa, più pacata, forse dovuta dalla presenza di alcuni affreschi nelle pareti della sala. Qui sono esposti numerosi tavoli decorati, ed è nettamente percepibile un cambiamento nella scelta espositiva. Molti di essi sono collocati sulle pareti facilitando il loro godimento da parte del visitatore. Poiché è però vietata una visione ravvicinata di tali manufatti, per poterli completamente apprezzare il visitatore deve soffermarsi nel lato opposto della stanza.

In conclusione, il museo offre una possibilità unica per conoscere qualcosa in più circa l’antica tecnica del commesso in pietre dure e il suo legame storico con la città di Firenze, fornendo inoltre la preziosa opportunità di poter ammirare i laboriosi dettagli musivi esposti e poter apprezzare una vera arte manifatturiera.

Glenn Brown. Piaceri Sconosciuti

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Museo Stefano Bardini

By Katherine Reaume (Istituto Lorenzo de’ Medici)

The Museo Stefano Bardini welcomes the artist Glenn Brown into its display within the museum from the 10th of June to the 23rd of October. As a first time visitor, it may seem a bit jarring to suddenly see a work that is contemporary among the ancient, yet the display of Glenn Brown’s work is done in a non-obtrusive way. Artworks are found throughout the museum, including multiple paintings, drawings, and sculptures, which are displayed amongst the collection of antiquities collected by Stefano Bardini.

Recognized internationally as a seller of antiquities at the end of the 19th century, Bardini left his art gallery along with his collections of various Renaissance designed art pieces to the City of Florence. This museum houses his collections in a similar format as they were once displayed during Bardini’s lifetime. Along with its permanent collections, the museum hosts temporary exhibitions throughout the museum.

The juxtaposing of Glenn Brown’s work throughout the permanent works of the museum help to draw visitors to stop and look longer, while also creating an interesting atmosphere among the Renaissance works. A majority of the artworks play upon one another within the space. In particular, a strong display can be found in the Sala delle Cornici. The combination of Brown’s work held inside what are usually empty frames from Bardini’s collection breathes new life into the space. Reflecting a more traditional picture gallery style room found in places like the Pitti Palace, some of these works seem to be made especially for the frames in which they are held, while still being contemporary.

Though most of the integration of Brown’s work throughout the gallery is well done, some displays may hinder a visitors’ ability to appreciate them fully. For instance, in the Sala delle Madonne, a room that has a wall full of different sculptures of the Madonna, yet a portrait of a man titled Poor Art is displayed next to them. Though this portrait is hung at a comfortable eye level, the subject matter seems to clash comparatively to another work hanging in the same gallery.  A painting of a female figure is displayed opposite of the wall of Poor Art, leading up the stairs into the next room. The placement of this work is awkward. Seen from the ground it is almost too far away to appreciate it; ascending the stairs, one must stop to gather a closer view of this work, which is still at a head craning angle.

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Traduzione di Tania Mio Bertolo (Università degli Studi di Firenze)

Dal 10 giugno al 23 ottobre il Museo Stefano Bardini ospita le opere di Glenn Brown, e lo fa distribuendo i lavori dell’artista britannico all’interno del proprio percorso espositivo permanente. Benchè a prima vista potrebbe apparire forzato e contraddittorio l’accostamento delle opere contemporanee con quelle antiche della collezione museale, tuttavia l’allestimento dei lavori di Glenn Brown è ben pensato e non risulta invadente. Opere d’arte contemporanee quali dipinti, disegni e sculture sono rintracciabili nel percorso espositivo permanente del museo, amalgamate all’interno della collezione di antichità raccolta in passato da Stefano Bardini.

Conosciuto a livello internazionale come antiquario attivo sul finire del XIX secolo, Bardini ha lasciato alla città di Firenze sia la sua casa-museo che la sua collezione di opere d’arte di epoca rinascimentale che, ancor oggi, è in massima parte custodita nel museo secondo la disposizione scelta dallo stesso antiquario. Negli stessi spazi espositivi che accolgono la collezione permanente il museo ospita di frequente mostre temporanee.

La giustapposizione delle opere d’arte contemporanee di Glenn Brown all’interno della collezione permanente del museo guida il visitatore nel percorso suggerendogli dove soffermarsi; al contempo crea una nuova ed interessante atmosfera attorno alle opere rinascimentali poichè la maggior parte dei lavori artistici dialogano l’uno con l’altro condividendo gli stessi spazi. Una scelta allestitiva particolarmente forte e d’impatto è quella pensata per la Sala delle Cornici, dove il posizionamento dei disegni di Glenn Brown all’interno degli spazi tradizionalmente vuoti delimitati dalle cornici collezionate da Bardini infonde aria nuova e fresca all’interno della sala: alcuni di tali disegni sembrano esser stati realizzati apposta per le suddette cornici e per questo allestimento, ottenendo così un effetto espositivo stilisticamente simile a quelli delle pinacoteche più tradizionali, come gli esempi visibili a Palazzo Pitti, nonostante si abbia qui a che fare con opere di età contemporanea.

Benchè nel complesso l’inserimento delle opere di Brown nel percorso permanente sia ben pensato, talune scelte espositive potrebbero forse inficiare il pieno godimento della mostra da parte del visitatore. Per fare un esempio: nella Sala delle Madonne, ambiente che ospita una parete nella quale sono in mostra numerose sculture di iconografia mariana, è esposto un ritratto maschile dal titolo Poor Art, collocato di fianco alle Madonne antiche. Nonostante il ritratto sia posizionato ad un’altezza corretta ed adeguata per il visitatore, il soggetto sembra non dialogare con l’altro lavoro artistico di Brown presente in questa sala: una figura femminile esposta nella parete opposta, presso la scala che conduce verso il successivo ambiente. Si tratta di una scelta espositiva rischiosa, poiché la collocazione dell’opera risulta troppo distante affinchè essa possa essere apprezzata dalla Sala delle Madonne, ma al contempo troppo scomoda per poter esser osservata pausatamente dalla scala.

Plautilla Nelli. Arte e devozione in convento sulle orme di Savonarola

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Firenze, Galleria degli Uffizi
8 marzo – 4 giugno 2017

Di Simona Anna Vespari (Università degli Studi di Firenze)

Plautilla Nelli. Arte e devozione in convento sulle orme di Savonarola è la mostra curata da Fausta Navarro che si è svolta dall’ 8 marzo al 4 giugno alla Galleria degli Uffizi. La data di inaugurazione non è casuale:  si apre con essa una serie di iniziative che il direttore del museo Eike Schmidt propone di rinnovare ogni anno, rendendo omaggio, di volta in volta, ad artiste che per lungo tempo sono rimaste sconosciute o poco considerate. Un’occasione quindi per scoprire nuovi nomi a lungo dimenticati nel panorama artistico.

Va subito detto che, però, per essere la prima monografica sull’artista, la mostra ha la grande pecca di non esporre le sue opere certe: grande mancanza che rischia di dare al visitatore una conoscenza approssimativa dell’artista.

La mostra si compone di quattro sale sulle cui pareti sono disposti pannelli esplicativi in doppia lingua, italiano e inglese, utili per inquadrare la figura di Plautilla Nelli nel suo contesto storico e culturale. Nella prima sono esposti sulla stessa parete i quattro ritratti di Santa Caterina da Siena / De Ricci conservati tra Firenze, Siena, Perugia e Assisi raffiguranti la stessa santa ritratta di profilo, ai quali si aggiunge una copia successiva di altro artista che  dimostra una certa fortuna iconografica del modello ideato da Plautilla. Questo allestimento è utile e accentua la serialità delle opere su cui si vuole puntare l’attenzione: la medesima posizione in cui la santa è ritratta in tutte e quattro le opere è chiaro indice di una produzione seriale basata sull’impiego di uno stesso cartone, dal quale veniva poi trasferito il disegno sul supporto tramite una tecnica detta “spolvero” : anche in questo caso l’ausilio dei pannelli è funzionale al visitatore, il quale può comprendere meglio anche questi dati più tecnici. Non è dato sapere però se la disposizione dei quattro ritratti sulla parete sia avvenuta seguendo una successione cronologica, in quanto nelle relative didascalie non ne viene riportato il riferimento.

Utile al visitatore per una maggiore conoscenza dell’artista è la visione del breve filmato proiettato nello spazio antecedente l’ultima sala:  in inglese, sottotitolato in italiano, vengono spiegate dagli studiosi le ricerche che si sono condotte sull’artista anche attraverso i vari restauri, l’ultimo dei quali vede interessata la grande Ultima Cena. In questa sala troviamo un pannello sul quale sono riportate le varie opere conservate in altri musei a Firenze e non presenti in mostra, pannello che si spera sia da stimolo al visitatore per andarle a visitare.

L’ultima sala, infine, è dedicata all’attività grafica dell’artista. I disegni risaltano disposti su uno sfondo grigio e di particolare interesse è il confronto presentato tra un disegno di Fra Bartolomeo e uno di Plautilla Nelli, entrambi raffiguranti una Madonna con Bambino, che dimostra la vicinanza della nostra artista al frate pittore.

L’intento della mostra sembra quello di far entrare il visitatore nel contesto culturale e sociale in cui Plautilla Nelli è vissuta, anche attraverso l’esposizione di testi antichi che si concentrano sulla figura di Girolamo Savonarola e di alcuni manufatti  provenienti dal convento di Prato che quindi mostrano il legame con la forte religiosità dell’artista. Complessivamente l’esposizione è ben curata: le opere  sono ben visibili, ben illuminate ed esposte a un’altezza tale che ne permette la visione ravvicinata e lo studio. A prescindere dalle considerazioni prettamente attributive che si potrebbero fare, si tratta di una mostra che nonostante le evidenti mancanze a cui abbiamo accennato sopra, ha sicuramente il merito di far conoscere al grande pubblico, troppo spesso attratto solo dai grandi nomi del panorama artistico fiorentino, un’artista pressoché dimenticata.

 

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Translation by Rachyl Grussing (Istituto Lorenzo de’Medici)

Plautilla Nelli: Art and Devotion to the Convent in the Footsteps of Savonarola is the exhibition curated by Fausta Navarro that takes place from 8 March and 4 June at the Uffizi Gallery. The inauguration date is no accident: it opens with a series of initiatives that the director of the museum, Eike Schmidt, proposes to renew each year, paying tribute to artists who, for a long time, have remained unknown or little considered. This is an occasion to find new, long forgotten, names in the artistic landscape.

It is immediately said that, however, to be the first monograph on the artists, the exhibition has the great fate of not exposing his own works: a great lack that risks giving the visitor an approximate knowledge of the artist.

The exhibition is composed of four rooms, on whose walls are explanatory panels in two languages, Italian and English, which are useful for framing the figure of Plautilla Nelli in its historical and cultural context. In the first room are exposed, on the same wall, the four portraits of Saint Catherine of Siena/ De Ricci, preserved between Florence, Siena, Perugia and Assisi, depicting the same sacred profile portraiture, to which a subsequent copy of another artist showing a certain fortune iconographic model created by Plautilla. This set-up is useful and accentuates the seriality of the works on which the attention is to be drawn: the saint is portrayed in the same position in all four works – a clear indication of a serial production based on the use of the same cardboard from which the design was then transferred to the support by means of a technique known as dusting. In this case, the use of the panels is functional to the visitor, to better understand this technical data. However, it is not known whether the layout of the four portraits on the wall was done following a chronological sequence, since the references are not included in the corresponding captions.

Helpful to the visitors greater knowledge of the artist is the vision of the short film projected in the space before the last room: in English, subtitled in Italian, the scholars explain the research that has been carried out on the artist and the various restorations, the last of which is concerned with the great Last Supper. In this room we find a panel showing the various works preserved in other museums in Florence and not present in the exhibition, hoping to stimulate the visitor to visitor them.

Finally, the last room is dedicated to the artist’s graphic activity. The drawings stand out on a gray background and is of particular interest to the comparison presented between a drawing by Fra Bartolomeo and one by Plautilla Nelli, both depicting a Madonna with Child, which shows the proximity of our artist to the painters brother.

The intent of the show seems to be to bring the visitor into the cultural and social context in which Plautilla Nelli is lived through the exposition of ancient texts that focus on the figure of Girolamo Savonarola and some artefacts from the convent of Prato. They show the strong religiousness of the artist. Overall the exhibition is well-groomed: the works are well visible, well lit and exposed to a height that allows close vision and study. Regardless of the purely attributive considerations that could be made, this is an exhibition that, despite its obvious shortcomings mentioned above, certainly deserves to be known to the general public, too often attracted only to the great names of the Florentine artistic landscape, to know an almost forgotten artist.

La fabbrica della bellezza: la manifattura Ginori e il suo popolo di statue

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Firenze, Museo Nazionale del Bargello
18 maggio – 1 ottobre 2017

Di Maria Eletta Benedetti (Università degli Studi di Firenze)

 
Il più importate museo di scultura rinascimentale, il Bargello, ospita in un lato del maestoso cortile un popolo traslucido e candido, raro e fragile: le porcellane Richard Ginori. Non si tratta di tazzine e piatti, come si è abituati istintivamente a pensare, ma statue settecentesche a grandezza naturale. La scelta di allestire la mostra al Bargello è vincente. Le opere di Doccia dialogano con il museo e si ricollegano con la storia fiorentina non solo perché vi sono conservate sculture del grande Rinascimento ma anche perché è a questa storia che dal 1737 Carlo Ginori attinge per la creazione della sua manifattura. Lo scopo della mostra è chiaro ed è sottolineato dalle parole degli stessi curatori Montanari e Zikos: tenere viva l’attenzione sul patrimonio del Museo a Sesto Fiorentino acquistato di recente dallo Stato permettendo che non rimanga chiuso e che non cada in disuso. Tutti questi aspetti sono palpabili e ben visibili nella mostra grazie ai pannelli esplicativi. Una mostra che può sembrare di primo acchito d’élite è invece per qualsiasi tipo visitatore grazie alla semplicità e alla cura dell’allestimento insieme a un’accurata scelta di opere. Il numero di sculture esposte è inconsueto poiché sono pochissime, solo diciassette, ma sono veramente splendide.

La mostra si articola in due sale attigue. Nella prima sala il visitatore è accolto da due statue in porcellana che hanno il loro prototipo nella Tribuna degli Uffizi: la Venere Medici, restituita anche in bronzo e il Mercurio. Al centro campeggia il magniloquente Tempietto Ginori, carico di dettagli e di storia del suo antico proprietario e di Firenze. Sul fondo, affiancati, il Mercurio tratto dal Giambologna e restituito in piccolo formato in bronzo e in cera. Nella seconda sala due sculture raffiguranti il gruppo della Pietà, in bronzo e in porcellana, quest’ultima proveniente dalla Galleria Corsini. Sul lato destro un’altra coppia di opere questa volta rappresentanti il soggetto biblico di Giuditta e Oleoferne e a salutare il visitatore in grande stile il monumentale Camino, collocato sul fondo della seconda sala. Particolare e buona è la scelta di mettere a confronto le opere con il proprio “doppio”, perché entrano in dialogo le stesse forme realizzate però con materiali diversi che restituiscono una sensazione visiva e tattile differente e quindi anche la totalità della manifattura.

Il breve percorso è ben pensato tenendo a mente in primis la fisicità delle opere: sono disposte in modo tale che il visitatore riesca a girare tutto intorno alle statue, osservandole da ogni angolazione con agio. Le basi su cui sono collocate le sculture sono ad un’altezza giusta e sono di color azzurro carta da zucchero. Questa tonalità è un’altra scelta positiva perché si accompagna benissimo con il materiale delle sculture e predispone ad un clima etereo, come fuori dal tempo. Questo colore è ripreso in tutto il percorso anche nel catalogo e nei pannelli esplicativi. Le spiegazioni nei pannelli toccano vari aspetti, dalla storia alla tecnica, sono semplici ma anche molto dettagliate. Alcune opere necessitano della protezione della teca, che in ogni caso non infierisce in modo particolarmente negativo nella visione delle opere, dato che le luci sono ben sistemate e non c’è un riflesso eccessivo. L’unica pecca è la segnalazione non precisa dell’appendice della mostra al secondo piano del Bargello. Il percorso espositivo prosegue nella sezione delle ceramiche dove, in occasione della mostra, sono conservate alcune piccole perle tra cui un affascinante vaso di Giò Ponti.

Per concludere si sottolinea che il prezzo del biglietto è rimasto quello consueto del museo e non è aumentato a causa della mostra. Un aspetto venale altresì positivo che sollecita a visitare questo piccolo tesoro temporaneo.

 

The Beauty Factory: The Manufacture of Ginori and his statues of people

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Translation by Rachyl Grussing (Istituto Lorenzo de’ Medici)

 

The most important museum of Renaissance culture, the Bargello, houses on one side of the majestic courtyard a translucent and candid, rare and fragile population: the porcelain of Richard Ginori. It is not about cups or plates, as they instinctively thought, but the 18th century full sized statues. The choice of staging the show at the Bargello is winning. The works of Doccia converse with the museum and reconnect with the history of Florence, not only because of the great Renaissance but also in this history that since 1737 Carlo Ginori draws from the creation of its manufacturing. The purpose of the exhibition is clear and is underlined by the words of the curators Montanari and Zikos: to keep alive the focus on the patrimony recently purchased by the sixth Florentine Museum from the State, allowing it to remain open and not fall into disuse. All these aspects are palpable and well visible in the show thanks to the explanatory panels. A show that may resemble, at first glance, the elite and instead is for any type of visitor thanks to the simplicity and the care of the setup together with a careful selection of works. A number of exposed sculptures is unusual because they are very few, only seventeen, but they are very splendid.

The exhibition is divided into two adjacent rooms. In the first room visitors is welcomed by two statues in porcelain that have their prototype in the Uffizi Tribuna: the Venus Medici, returned in bronze and Mercury. In the center stands the magnificent Tempietto Ginori, loaded with details and history of his old owner and of Florence. On the bottom, side by side, the Mercury is taken from Giambologna and returned in small size in bronze and wax. In the second room there are two sculptures depicting a group of the PIeta, in bronze and porcelain, the latter from the Corsini Gallery. On the right side another pair of works this time representing the biblical story of Judith and Holofernes, and greet the visitor in grand style in the monumental Camino, located at the bottom of the second room. Particular and good is the choice to compare the works with their own double, because they come into dialogue with the same forms made with different materials that give a different visual and tactile feel and also the totality of the manufacturing.

The short path is well thought out, bearing in mind the first place the physicality of the works: they are arranged in such a way that the visitor can spin around the statues, observing them from every angle with ease. The bases on which the sculptures are placed are at the right height and are blue. This tone is a positive choice because it compliments the material of the sculptures and predisposes to an ethereal climate, like out of time. This color is represented throughout the exhibition course, also in the catalogue and explanatory panels. The explanations in the panels touch on various aspects, from history to technique, and are simple but very detailed. Some works require the protection of the cabinets, which is any case does not stain the vision of the works, as the lights are well arranged and there is no excessive reflection. The only flaw is the inaccurate signaling of the appendix of the exhibition on the second floor of the Bargello. The exhibition continues in the section of ceramics where some small pearls, including a fascinating jar of Gio Ponti, are preserved for the exhibition.

Finally, the ticket price remained the museums usual value, and did not increase because of the exhibition. Another aspect that urges a visit to this temporary treasure.

 

Giorgio Vasari. L’ultima cena

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Museo dell’Opera di Santa Croce, Firenze
Dal 4 novembre 2016
Di Tania Mio Bertolo (Università degli Studi di Firenze)
 
Erano trascorsi meno di dieci anni da quando la tavola lignea dell’Ultima Cena di Giorgio Vasari era stata trasferita dall’antico refettorio del convento di Santa Croce ad una delle nuove sale del Museo dello stesso complesso monumentale, allorchè l’Arno esondò ed il dipinto rimase dodici ore sommerso da acqua e fango. Era il novembre del 1966 ed il Museo di Santa Croce, nel quale l’acqua raggiunse cinque metri e due centimetri d’altezza, fu definito “l’epicentro del disastro”. Il museo riaprì soltanto nel 1975 e da allora ospita, tra gli altri esemplari storico artistici del complesso, le opere restaurate a seguito dell’alluvione. Già l’anno successivo alla riapertura fu restituito al pubblico il Crocifisso di Cimabue, assunto a simbolo tra le vittime artistiche dell’alluvione per la perdita del 60% della superficie pittorica; ma vanno ricordati anche i restauri ai quali furono sottopposti il grande affresco realizzato da Taddeo Gaddi comprendente l’Ultima Cena e l’Albero della Vita, staccato per l’occasione e successivamente ricollocato nella posizione originaria, la Deposizione dalla Croce di Francesco Salviati e la Discesa di Cristo al Limbo di Bronzino (ora entrambi nella Cappella Medici), e molti altri ancora. A distanza di cinquant’anni esatti dall’alluvione, anche il cenacolo vasariano è stato restituito al pubblico.

Realizzata nel 1546 per il refettorio dell’antico monastero delle Murate, la tavola lignea vasariana fa parte dell’arredo monumentale del complesso di Santa Croce dal 1815, pur avendo ivi subito svariati riposizionamenti. A seguito dell’alluvione l’opera fu messa in sicurezza nei depositi cittadini delle soprintendenze, e fu sottoposta alle operazioni di restauro soltanto a partire dal 2006. Dal novembre del 2016 il dipinto è nuovamente visibile al pubblico con una nuova cornice, sorretto da un sistema di contrappesi capace di sollevarlo in eventuali situazioni d’emergenza e dotato di una scatola di climatizzazione sul tergo.

Collocata nella parete nord dell’ex cenacolo del complesso, ambiente che rappresenta il cuore del Museo di Santa Croce, l’Ultima Cena di Vasari è presentata al pubblico corredata di quanto quest’ultimo possa necessitare per comprenderne le vicende storiche: dai piccoli pannelli di testo di carattere storico descrittivo; allo schermo interattivo che fornisce al visitatore molteplici percorsi di approfondimento testuali supportati da immagini ad alta risoluzione, radiografie e riflettografie; al documentario che testimonia ogni fase del recupero del dipinto. Benchè ospitato nella sala adiacente il refettorio, tale filmato è proiettato strategicamente su una delle pareti vicine al passaggio di collegamento tra i due ambienti: questa intelligente scelta museografica permette al visitatore di seguire il documentario pur godendo contemporaneamente della vista dell’opera vasariana. E le straordinarie dimensioni di quest’ultima, i suoi vivaci colori e le sue corpulenti figure dalle pose manieristiche colpiscono ed affascinano lo sguardo di chi va cercando un commosso equilibrio tra ciò che è stato perduto per sempre e ciò che è stato restituito.

La tavola vasariana, va detto, fatica a dialogare stilisticamente con le altre opere ospitate nel refettorio tra le quali il bronzo dorato del San Ludovico di Tolosa di Donatello, il già citato affresco di Taddeo Gaddi ed alcuni frammenti di Andrea Orcagna. Tuttavia ciascuna di esse ha un legame storico con il complesso di Santa Croce, e molte di esse hanno ragione di essere messe a confronto come testimonianza di eccellente operazione di restauro e rinascita dopo l’alluvione del ‘66.
 
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Translation by Rachyl Grussing (Istituto Lorenzo de’Medici)

 

It has been less than ten years since the wooden dinner table of Giorgio Vasari’s Last Supper had been transferred from the ancient refectory of the convent of Santa Croce to one of the new halls of the Museum of the same monumental complex, after the Arno exhumed and painted it for twelve hours with water and mud. It was in November of 1966, and the Museum of Santa Croce, in which the water reached five meters and two centimeters high, was termed, ‘the epicenter of the disaster’. The museum of was only reopened in 1975 and since then has hosted, among other artistic examples from the complex, works restored after the flood. Already in the year following the re-opening to the public, the Crucifix by Cimabue, a symbol of the artistic flood victims for the loss of 60% of its pictorial surface, was returned to the public; but the restorations which should be mentioned are the great fresco realized by Taddeo Gaddi, including the Last Supper and the Tree of Life, which were removed for the occasion and later relocated to their original position, the Deposition from the Cross by Francesco Salviati and the Christ’s Descent to the Limbo by Bronzino (now both in the Medici Chapel), and many others. A distance of fifty years exactly from the flood, even Vasari’s Upper Room was returned to the public.

Realized in 1546 for the refectory of the ancient Murate monastery, the Vasarian wooden table is part of the monumental furnishings of the Santa Croce complex since 1815, although there have been several repositionings. Following the flood, the work was safely secured in the town hall of the Superintendents, and was only restored in 2006. From November 2016, the painting is again visible to the public with a new frame, supported by a counterweight system capable of lifting it in any emergency situation, and equipped with air conditioning box on the floor.

Located in the north part of the former cenacle of the complex, the setting that represents the heart of the Museum of Santa Croce, the Last Supper by Vasari is presented to the public as well as what the latter may need to understand historical events: small panels of descriptive historical text to interactive screens that provides the visitor with multiple textual supports, enhanced by high resolution images, radiographs and reflections, to the documentary that witnesses every stage of the paintings recovery. Although housed in the room adjacent to the refectory, the film is projected strategically on one of the walls close to the linking passage between the two rooms: this intelligent museological choice allows the visitors to follow the documentary while simultaneously enjoying the view of Vasari’s work. And the extraordinary dimensions of the latter, its vibrant colors and its corpulent figures with manneristic poses affect and fascinate the minds of those who are looking for the hard balance between what has been lost forever and what has been returned.

The Vasarian table, it must be said, struggles to stylistically dialogue with the other works housed in the refectory, among which are the golden bronze of St. Ludovico in Toulouse by Donatello, the already mentioned fresco by Taddeo Gaddi, and some fragments by Andrea Orcagna. However, each of them has some historical link with the Holy Cross complex, and many of them are right to be compared as evidence of an excellent restoration and rebirth operation after the flood of ‘66.