Museum Labels also Die

By Cole Fiala (Lorenzo de’ Medici)

 

The reopening of the Center for Contemporary Culture – Strozzina provides an alternative to Florence’s traditional Renaissance art scene. The progressive nature of the venue, however, faces the challenge of advocating for contemporary art in a community reputed for its old masters. While the content of the current exhibition, Sculptures also Die, offers a continuation of 20th century art criticism, the overall execution often isolates the visitor through a lack of accessibility.

The explicit connection to Power and Pathos, the bronzes exhibition on display at the Palazzo Strozzi, initiates a comparative lens in which to view contemporary sculpture. Communication through the different sections of the institution serves to attract a broad audience to both exhibitions, while also encouraging alternative perspectives and an interconnected dialogue. The relationship between Power and Pathos and Sculptures also Die reveals a powerful, yet infrequent, museum practice.

Critical attention to sculptural media recalls a pinnacle of art historical thought. Since the rise of avant-garde art in the mid-twentieth century, theorist began analyzing modern sculpture as it relates to the spectrum of artistic development. Sculptures also Die revitalizes this debate with an emphasis on new sculptural methods in relation to contemporary developments. Specifically, the re-appropriation of traditional media and concurrent technological advancements both resonate throughout the exhibition, yet these features lack transparency for the casual visitor.

A descriptive booklet, available in both Italian and English, replaces traditional wall texts. The ease of access to the brochure, however, causes the audience to rely on the text as a manual to decode contemporary art, and thus spend more time reading than viewing. The handout, although informative, then becomes an accessory to carry throughout the exhibition. This, in turn, elevates the interpretive texts dictated by the curator, Lorenzo Benedetti, and his team.

The pamphlet removes the visitor from the responsibility to directly think and question the works of art. Consultation to the booklet interferes with other potential modes of self discovery, including the formulation of a unique opinion. The absence of certain facets, although inevitable in finite texts, presents an issue for individuals that rely on the direction of the guide. The first room of the exhibition, for example, partially covered in metal tiles as part of an installation by Katinka Bock, A and I, reflects a dimension of ambivalence. With a lack of clarification, the visitor is uncertain as to the aspect of interaction, and if he or she may walk upon the tiles. A majority of people, as a result, congregate around the other half of the already congested space.

This behavior illustrates the reluctance of the public to challenge and discover the meaning behind contemporary art. The booklet, more over, allows and encourages a singular understanding in which visitors may rely. This dependence again becomes an issue with Francisco Tropa’s work titled Gigante. When confronted with this object, the visitor struggles confusedly to find its description in the book. Instead of situating the text adjacent to that of other pieces from the same room, the guide combines the passage for Gigante with a subsequent work by Tropa, Terra platónica, found later in the exhibition. The disruption of a perceived chronological correspondence interferes with expectations and abandons the visitor at a pivotal moment in the pre-course.

Distractions, such as these, cause uncertainty for the average public seeking only a fundamental understanding of contemporary art. The publication of descriptive text in a physical booklet further hinders interpretation through its direct and tangible presentation. Labels placed discretely next to the objects allow for the individual to choose what to read, as opposed to carrying the booklet as a souvenir throughout the exhibition. Visitors would be more aptly provoked if first presented with the quote by Barnett Newman: ‘Sculpture is what you bump into when you back up to see a painting.’ Sculptures also Die presents an adequate context to demystify contemporary art, yet the death of the museum label instead isolates the audience.

Anche Le Sculture Muoiono, Sculptures also Die, is on display at the Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Palazzo Strozzi, until 26 July 2015.

 

Anche le sculture muoiono

La riapertura del Centro di Cultura Contemporanea della Strozzina fornisce un’alternativa alla tradizionale scena artistica rinascimentale di Firenze.

La natura progressista del luogo, infatti, affronta la sfida di sostenere l’arte contemporanea in una comunità rinomata per i suoi antichi maestri.

Mentre il contenuto della mostra in corso, Anche le sculture muoiono, offre una prosecuzione della critica dell’arte del XX secolo, la realizzazione complessiva dell’esposizione spesso isola il visitatore a causa di una scarsa leggibilità.

L’ esplicito collegamento con Potere e Pathos, la mostra di bronzi che si svolge a Palazzo Strozzi, fornisce una lente comparativa con cui guardare alla scultura contemporanea.

La comunicazione è utilizzata, attraverso le diverse sezioni dell’istituzione, per ottenere un ampio pubblico ad entrambe le mostre e, nello stesso tempo, incoraggia prospettive alternative e un dialogo interconnesso. Il rapporto tra Potere e Pathos e Anche le sculture muoiono rivela una potente, anche se poco frequente, pratica museale. L’attenzione critica ai media scultorea richiama un pinnacolo del pensiero storico sull’arte. Da quando si è sviluppata l’arte delle avanguardie a metà del XX secolo, il teorico ha iniziato ad analizzare la scultura moderna come se fosse lo spettro dello sviluppo artistico. Anche le sculture muoiono da nuova vita a questo dibattito con l’accento su nuove pratiche della scultura in relazione agli sviluppi contemporanei. In particolare, sia la riappropriazione dei mezzi di comunicazione tradizionali che le concorrenti innovazioni tecnologiche, sono evidenziate lungo tutta la mostra, ma questi temi sono poco accessibili ad un visitatore inesperto. Un opuscolo informativo, disponibile sia in italiano che in inglese, sostituisce i tradizionali testi a parete. La facile lettura della brochure, però, fa sì che il pubblico si affidi al testo come ad un manuale per decodificare l’arte contemporanea, e, quindi, passi più tempo a leggere che a guardare le opere. Il libretto, anche se esaustivo, diventa dunque un accessorio da portare con se per tutta la mostra. Ciò, inoltre, sottolinea ulteriormente l’interpretazione del curatore, Lorenzo Benedetti, e del suo team. L’opuscolo allontana il visitatore dalla responsabilità di riflettere da solo e mettere in discussione le opere d’arte. La consultazione di questo materiale informativo interferisce con altri potenziali modi di scoperta personali, tra cui la formulazione di un parere individuale. L’assenza di alcune informazioni, anche se inevitabile in brevi testi, rappresenta un limite per coloro che si basano unicamente sulla decodificazione offerta dalla guida.

La prima sala della mostra, ad esempio, parzialmente rivestita a terra da pannelli metallici che fanno parte dell’installazione di Katinka Bock, A and I, riflette una dimensione di ambivalenza. A causa della mancanza di chiarezza, il visitatore è incerto su come interagire con l’opera non capendo se possa camminare o no sulle placche metalliche. La maggioranza delle persone, di conseguenza, si riuniscono intorno all’altra metà dello spazio già congestionato. Questo comportamento dimostra la riluttanza del pubblico a sfidare e quindi scoprire il significato che sta dietro l’arte contemporanea. Il libretto permette e favorisce, soprattutto, un’ unica interpretazione alla quale i visitatori possano fare affidamento. Questa dipendenza dal testo diventa di nuovo un problema in relazione al lavoro di Francisco Tropa intitolato Gigante. Di fronte a questa opera, il pubblico si sforza confusamente di trovare la sua descrizione nel testo. Invece di situare il testo vicino a quello di altre opere della stanza, la guida mette insieme la parte dedicata a Gigante con quella su un successivo lavoro di Tropa, Terra Platonica, che si trova più avanti nella mostra. L’interruzione di ciò che è percepito come una corrispondenza cronologica interferisce con le aspettative e abbandona il visitatore in un momento cruciale del percorso. Distrazioni come queste sono fonte di incertezza per un pubblico medio e per una comprensione profonda dell’arte contemporanea. La pubblicazione di un testo descrittivo in un libretto fisico ostacola ulteriormente l’interpretazione attraverso la sua presenza diretta e tangibile. Didascalie posizionate discretamente accanto agli oggetti consentirebbero all’individuo di scegliere cosa leggere, invece di portare il libretto come ricordo per tutta la mostra. I visitatori sarebbero maggiormente provocati se prima gli si presentasse la citazione di Barnett Newman «la scultura è il miglior commento che un pittore possa fare sulla pittura».

 Anche le sculture muoiono offre un contesto adeguato per demistificare l’arte contemporanea, ma la morte del marchio museo isola invece il pubblico.

 Anche Le Sculture Muoiono è in mostra presso il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Palazzo Strozzi, fino al 26 luglio 2015.