By Brigid Brennan, Rachel Strilec, and Megan O’Connor (Lorenzo de’ Medici)
Once a unified structure, the Museum of Natural History was founded by the Grand Duke Leopold of Habsburg-Lorraine in 1775. Since 1878, however, it has been divided into six different sections around town: Anthropology and Ethnology; Geology and Paleontology; Mineralogy and Lithology; Zoology; Botany; and the Botanical Gardens.
The Anthropology and Ethnology section, also known as MNAE, was founded by Paolo Mantegazza and is located on Via del Proconsolo, 12 in Palazzo Nonfinito, the “unfinished palace,” which dates back to 1593. The museum now houses 7,000 anthropological artifacts and over 25,000 objects related to ethnology. These come, most notably, from Captain James Cook’s third voyage to the Pacific in the late 1700s, from the Medici family’s cabinet of curiosities, as well as from the Indian collection of Florentine Sanskrit collector Angelo De Gubernatis.
The museum’s collection expresses a relationship between “Western” and “primitive” cultures, almost as if the two were mutually exclusive. Imperialistic Italy and its 19th-century European contemporaries collected and displayed objects from the cultures they conquered. This simultaneously imbued the objects with an exotic sense of “otherness” and made their museums into mirrors of the western culture’s own perspective.
Within the MNAE, founded in the midst of this global scramble, it is difficult to find a focus. On the one hand, a distinct desire to portray an interest in world peoples is evident. However, the method of display of objects such as shrunken heads, weapons, jewelry and feathered headdresses greatly resembles a natural history museum, implying that the focus might be on scientific analysis rather than humanistic cross-cultural understanding. Not the case, the intended historical significance of the Museum of Anthropology and Ethnology exhibit is lost due to a lack of clear display.
Categorized by like objects from specific countries, the collection is a harmonized mess. Objects are presented in ambiguous groupings with an utter lack of labeling or description. While this manner of display can be effective, especially from an academic’s perspective, the absence of a contemporary view of the objects might make it seem elitist, unwilling to change, and negatively impact the museum’s future.
Although the website is rife with helpful material, labels and basic information at the institution itself are lacking; there is little to no didactic guidance within the displayed rooms. This leaves the visitor with unnecessary, distracting questions, rather than with meaningful questions regarding a specific culture. The space becomes stagnant, unless a visitor brings his own background information or wants to fill in the gaps with his imagination: a potentially appealing but dangerous practice. The museum does not fully facilitate meaningful exploration or transformative take-aways.
It is important to remember that the museum is not only a display case for historical artifacts from exotic cultures, but it is also a mirror into the culture of the time and place in which it was created: 19th-century Italy. As such, any revamping of the museum should honor the original curators’ vision and method of display, treating that set of choices as a kind of historical artifact in itself. The Museum of Anthropology and Ethnology wields an enormous amount of potential to become one of Florence’s best-loved and highly-utilized resources. For this to be accomplished, however, it needs to harness its fabulous collection into a focused, relevant, and compelling story.
Museo di Antropologia ed Etnologia
di Brigid Brennan, Rachel Strilec e Megan O’Connor (Lorenzo de’ Medici)
Il Museo di Storia Naturale fu fondato dal Gran Duca Leopoldo di Asburgo-Lorena nel 1775. In origine era una struttura unica, ma dal 1878 è diviso in sei differenti sezioni sparse per la città: antropologia e etnologia, geologia e paleontologia, mineralogia e , zoologia, botanica e giardino botanico.
La sezione di Antropologia ed Etnologia, detta anche MNAE, è stata fondata da Paolo Mantegazza, e si trova nel Palazzo Nonfinito, costruito nel 1593, in via del Proconsolo 12. Il museo ospita circa 7000 manufatti antropologici e più di 25000 oggetti collegati all’etnologia. Questi provengono per la maggior parte dal terzo viaggio del Capitano James Cook nel Pacifico, avvenuto alla fine del XVIII secolo, dalla stanza delle meraviglie della famiglia Medici, e dalla collezione indiana del fiorentino Angelo De Gubernatis.
La collezione del museo esprime la relazione tra l’occidente e le culture primitive, come se le due si escludessero a vicenda. L’ Italia imperialista e i gli altri paesi Europei del XIX secolo hanno collezionato e poi organizzato mostre con gli oggetti appartenenti ai paesi che hanno conquistato. Questo dona agli oggetti un senso di diversità e, contemporaneamente, fa sì che i loro musei siano specchio delle prospettive delle culture occidentali.
All’interno del MNAE, fondato su una globale miscellanea, è difficile trovare un punto di partenza. Da un lato, è evidente un chiaro interesse nel rappresentare le varie popolazioni del mondo, tuttavia la scelta di mostrare gli oggetti come teste rimpicciolite, armi, gioielli e acconciature piumate lo fa somigliare molto di più a un museo di storia naturale; ciò implica che l’attenzione potrebbe essere focalizzata più su un’analisi scientifica che su un’umanistica comprensione interculturale. Non è questo il caso, in quanto il significato storico previsto dalla mostra del Museo di Antropologia e Etnologia si perde a causa di una mancanza di visualizzazione chiara.
Gli oggetti sono catalogati per paese di provenienza, e la collezione risulta essere un armonico pastiche. I pezzi sono presentati in gruppi misti, con una totale mancanza di etichette o di descrizioni. Se questa maniera di esporre può essere efficace da un punto di vista accademico, l’assenza di una visione contemporanea degli oggetti può sembrare una scelta elitaria o poco aperta al cambiamento, e di conseguenza può avere impatto negativo sul futuro del museo.
Al contrario, il sito web del museo contiene molto materiale utile, come etichette e informazioni di base che mancano invece nel museo stesso, dove mancano anche le guide didattiche all’interno delle stanze. Tutto questo distrae il visitatore, piuttosto che farlo riflettere su ciò che è esposto. Lo spazio museale diventa stagnante, a meno che il visitatore non abbia un proprio background culturale o non colmi le lacune con la sua immaginazione: una pratica potenzialmente affascinante ma pericolosa. Il museo non facilita pienamente la comprensione dell’esposizione.
È importante ricordare che il museo non è solo un contenitore per le esposizioni di oggetti provenienti da culture esotiche, ma è anche uno specchio della cultura del tempo e del luogo in cui è stato creato: l’Italia del XIX secolo. Come tale, ogni rimodernizzazione del museo dovrebbe onorare la visione del curatore originale e il suo metodo di esposizione, trattando questa serie di decisioni come una sorta di artefatto storico essa stessa. Il Museo di Antropologia ed Etnologia possiede un’enorme potenziale per diventare una delle più amate e utilizzate risorse di Firenze, ma perché questo succeda in futuro, tuttavia, il museo dovrà sfruttare la sua favolosa collezione attraverso un percorso centrato, rilevante e convincente.