By Marta Gelli (University of Florence)
A person waiting in line under the loggia of the Uffizi, or even a simple passerby, may notice that, for some time, the coverings over the scaffolding on the western side have been advertising a new exhibit. Not even knowing that it is an exhibit, one may be drawn in by a title such as Arts and Alchemy; add the words “free entrance” in plain sight and the viewer is hooked. There, behind this large poster, is a door that easily goes unnoticed. Although, upon entering, one finds oneself in an unexpected space where the choice of objects and their display work together to create the atmosphere of a laboratory and room of wonders, as indicated by the second part of the show’s title. But why alchemy in the Reali Poste room? Many people might not know that, at one time, the Medici Grand Dukes actually established a foundry at the Uffizi…
After a small, bright vestibule and some introductory text panels, one enters into a darkened space, as if in an alchemical laboratory filled with smoke. Black false walls line the edge of the room, but what is most striking is certainly the octagonal structure in the center. This temporary installation, also painted black, clearly evokes the Tribuna – the most famous room in the Uffizi, since it was built in the second half of the 16th century as a space of private reflection for Francesco I. This link between the prince and the Tribuna is made explicit, as his portrait is the first work welcoming the visitor; in fact, Francesco I is the member of the Medici family most often associated with alchemy. However, the exhibit highlights how his father, Cosimo, already had an interest in this area, and that these experiments based on the transformation of material continued for a long time, leading to the medical and pharmaceutical fields.
In the five thematic and chronological sections, from prefaces about alchemy to the phases of the Medici foundry in the 16th and 17th centuries, various types of works are presented. Printed books and their engravings, polychrome sculptures of precious stones, handmade porcelains, paintings and drawings all subsequently line the walls: they are hung, placed on shelves, or inside cases and stand out with spotlights in the shadows. Each work is accompanied by a text made to resemble a sheet of parchment, undulating, rough, and yellowed, though – one must say – their placement is not ideal, tending to be too far in the corner. Among all of these pieces, perhaps the most interesting object is not considered “artistic”: a portable pharmacy consists of a simple wooden box divided into twenty-five compartments with as many small bottles inside, which were, at one time, filled with different essences and remedies that the Medici used to send to aristocrats. These gifts were accompanied by ante litteram leaflets. So, those who are able to lean over the case to see the texts may enjoy reading about oils, balms for parasitic worms, bruise ointments, or coral dyes, and how these things were used. Each one is rigidly marked with Fonderia di S.A.R., the label of the Grand Duke. It is a pity for those who do not know Italian that these amusing instructions are not translated into English, as they could have drawn many more smiles.
The section that leaves the greatest impression in one’s memory is found inside the octagon, which can be entered from four sides and glimpsed into even when just walking around the room. There, along with the “alchemical laboratory,” the room of wonders is evoked. Two or three shelves on each wall, almost resembling a cabinet, display distillation alembics, lids, and ampoules together with mummies or natural wonders, such as the skull (and a tusk!) of a narwhal. And, if this was not enough, hanging from the ceiling is an embalmed crocodile, just as in the well-known image from the Historia Naturale by Ferrante Imperato, with a monkey skeleton placed casually next to this book.
The exhibition, part of the annual series, Never Before Seen – organized by the Friends of the Uffizi and curated by Valentina Conticelli – seems to have taken a gamble, emphasizing visual wonder and effects of surprise instead of didacticism. This is seen not only in the texts, which are often too generic, but also in the scenery created by many large backlit panels interspersed along the dark walls, providing another source of artificial light. These panels are decorated with enlarged reproductions of engravings concerning alchemy, which make a big impression, but if one would like to understand from which text they come – maybe even one on display – one will spend much time searching… Therefore, it is likely that, once he or she leaves, the visitor will reflect on what has just been admired and remain stricken, not necessarily by the beauty of a painting or sculpture, but by the memory of the bizarre hanging crocodile and the smoky atmosphere of mystery.
L’Alchimia e le arti. La fonderia degli Uffizi, da laboratorio a stanza delle meraviglie.
di Marta Gelli (Università di Firenze)
Qualcuno in coda sotto il loggiato degli Uffizi, ma anche un semplice passante che transiti per il piazzale, potrebbe accorgersi che da qualche tempo i pannelli scuri che coprono i “lavori in corso” della zona di ponente stanno pubblicizzando una nuova mostra. O, pur non sapendo che si tratta di una mostra, resterebbe con tutta probabilità affascinato da un titolo come L’Alchimia e le arti; se poi si aggiunge che, ben in vista, si può leggere anche “ingresso libero”, allora il gioco è quasi fatto. Proprio lì in realtà, dietro quel grosso poster, c’è una porta che passa quasi inosservata, ma che se varcata può condurre a un ambiente davvero inaspettato, dove la scelta degli oggetti in esposizione ed il loro allestimento cooperano per trasmettere il più possibile un’atmosfera da laboratorio e stanza delle meraviglie, come del resto recita la seconda parte del titolo della mostra. Come mai l’alchimia alle Reali Poste? Forse non tutti sanno che un tempo, agli Uffizi, i granduchi avevano deciso di stabilire una fonderia…
Oltre un piccolo vestibolo illuminato e fornito di pannelli introduttivi si piomba, come se si entrasse in un laboratorio alchemico pieno di fumo, in uno spazio scurissimo: fittizie pareti nere si innalzano da terra lungo tutto il perimetro, ma ciò che più colpisce è senz’altro la struttura ottagonale che si impone al centro della sala. Questa architettura provvisoria, anch’essa nera, evoca chiaramente la Tribuna, l’ambiente più noto degli Uffizi sin da quando questi vennero costituiti nella seconda metà del Cinquecento, nonché luogo di riflessione prediletto da Francesco I. Il collegamento tra il principe e la Tribuna è esplicitato dal fatto che proprio un suo ritratto è l’opera che per prima accoglie il visitatore, ma Francesco I è anche il personaggio della famiglia Medici a cui generalmente si ricollega l’alchimia. In realtà l’esposizione evidenzia come già suo padre, Cosimo, avesse interessi in questo ambito, e che gli esperimenti basati sulla trasformazione della materia si protrassero a lungo nel tempo, in particolar modo sfociando nel campo della medicina e della farmaceutica.
Nelle cinque aree tematico-cronologiche, che vanno dalle premesse sull’alchimia alle fasi della fonderia medicea nel Cinquecento e nel Seicento, viene esposta una tipologia di opere molto varia. Libri a stampa e loro incisioni a bulino, sculture policrome in pietra dura, porcellane di manifattura medicea, dipinti e disegni si susseguono lungo le pareti, appesi, poggiati su mensole, oppure inseriti entro vetrine, mentre spiccano, illuminati artificialmente, nella penombra. Essi sono sempre provvisti di appositi cartellini, realizzati proprio a simulare fogli di pergamena, ondulati, ruvidi e dai bordi ingialliti, ma non sempre – questo va detto – la loro collocazione, fin troppo angolata, è ottimale. Tra tutti questi pezzi, però, può forse destare maggior interesse un oggetto che non può essere definito “artistico”: si tratta di una farmacia portatile, nient’altro che una cassetta di legno suddivisa in venticinque scomparti con, all’interno, altrettanti flaconcini (un tempo) riempiti con varie essenze o medicamenti, che i Medici erano soliti inviare come dono a personaggi aristocratici. Tale regalo era anche accompagnato da “foglietti illustrativi ante litteram”; così, in mostra, chi riesca a sporgersi in avanti e a chinarsi sulla teca che li ospita potrà divertirsi a leggere contro che cosa o in quali occasioni potevano essere usati l’olio, o balsamo per i bachi, l’unguento per le percosse, oppure la tintura di corallo. Il tutto marchiato, rigorosamente, Fonderia di S. A. R. Peccato per chi l’italiano non lo conosce, perché queste istruzioni, che non sono state tradotte in inglese, avrebbero potuto strappare un numero più alto di sorrisi.
La sezione che però resta maggiormente impressa nella memoria è quella ospitata nell’ottagono, a cui si accede da quattro lati, e il cui interno si intravede da svariate posizioni anche solo girando attorno al perimetro esterno: lì, insieme al laboratorio alchemico, è evocata la stanza delle meraviglie. Due o tre mensole per parete, come fossero palchetti di armadi, mostrano alambicchi, coperchi, ampolle, insieme a mummie o rarità naturali come un teschio (e un dente!) di narvalo. Come se non fosse abbastanza, pende dal soffitto un coccodrillo imbalsamato, proprio come accade in una celebre illustrazione per l’Historia naturale di Ferrante Imperato, lì esposta disinvoltamente accanto a uno scheletro di scimmia.
La mostra, parte del ciclo I mai visti, organizzata dagli Amici degli Uffizi e curata da Valentina Conticelli, sembra aver puntato, invece che su un aspetto legato alla didattica, più che altro sul colpo d’occhio e sull’effetto-sorpresa. Dimostrano questo non solo i pannelli esplicativi, dal contenuto forse troppo generico, ma anche la scenografia creata da diversi grossi riquadri retroilluminati che intervallano le scure pareti provvisorie e forniscono ulteriori fonti di luce artificiale. Essi sono decorati da immagini molto ingrandite che riproducono alcune illustrazioni a stampa dal carattere alchemico, di grande impatto quindi, ma se si cercasse di capire da quale testo – forse tra quelli esposti?- siano tratte le incisioni, allora si potrebbe impiegare molto, molto tempo nel cercare… Così è probabile che, anche una volta uscito, il visitatore rimugini su quanto ha ammirato poco prima e rimanga colpito, piuttosto che dalla bellezza di un dipinto o di una scultura, dal ricordo del pittoresco coccodrillo penzoloni e dall’atmosfera fuligginosa di mistero.