I nipoti del Re di Spagna. Anton Raphael Mengs a Palazzo Pitti


 
di Costanza Peruzzi (Università degli Studi di Firenze)
 
Nel 2016 le Gallerie degli Uffizi hanno acquistato dal mercato antiquario un dipinto incompiuto del pittore boemo Anton Raphael Mengs e quest’anno celebrano l’evento con una mostra aperta lo scorso 19 settembre a Palazzo Pitti, luogo in cui l’opera venne ideata e molto verosimilmente anche iniziata, illustrando così le vicende che legarono il pittore alla corte spagnola, all’Italia e in particolare a Firenze.

«Compito di un museo vivo è tutelare le opere, preservare la memoria, trasmettere cultura attraverso mostre e ricerche, ma anche far “respirare” le collezioni con aggiunte mirate, intimamente connesse alla vicende della città, del territorio, della raccolta stessa in cui si verranno a trovare» ha affermato Eike D. Schmidt, direttore degli Uffizi, in merito all’acquisto dell’opera.

Il dipinto in questione raffigura i figli del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena e di Maria Luisa di Borbone, Ferdinando e Maria Anna, e venne realizzato durante il soggiorno fiorentino dell’artista del 1770-1771.

Fulcro della mostra è il confronto tra quest’opera e quella con il medesimo soggetto commissionata a Mengs dal nonno materno dei due fanciulli, il re di Spagna Carlo III di Borbone, ad oggi conservata al Museo del Prado di Madrid.
Le due tele di Mengs probabilmente furono realizzate nello stesso periodo, ciononostante parlano due lingue totalmente differenti: la tela di Madrid testimonia nelle vesti, negli accessori e negli arredi, tutto lo sfarzo e la maestosità della corte iberica, mentre quella fiorentina si fa portavoce dell’aria moderna e illuminista che si respirava all’epoca nel Granducato toscano. Quest’ultima è, nel linguaggio, oggettivamente più vicina al ritratto dell’Arciduca Francesco all’età di sette anni, realizzato pochi anni dopo da un altro pittore tedesco attivo in quegli anni a Firenze, Johan Zoffany (1733-1810) e che è esposta in mostra a fianco dei due doppi ritratti, per evidenziare affinità e differenze.

La piccola esposizione occupa la Sala delle Nicchie, al primo piano di Palazzo Pitti, spesso sede di esposizioni temporanee. È la sala di passaggio dalla Galleria Palatina (Sala di Venere) agli Appartamenti Reali (Sala Verde), ed è situata perfettamente al centro del palazzo, affacciata sul piazzale esterno. A fine Settecento venne decorata dal pittore livornese Giuseppe Maria Terreni in stile neoclassico. Le opere di Mengs, amante dell’arte antica, di Michelangelo e di Raffaello, non potevano auspicare ad una cornice più appropriata!

Lasciatisi quindi alle spalle la Sala di Venere, con i suoi Tiziano, i Rubens, i Salvator Rosa, la Venere Italica di Canova e i numerosi altri capolavori lì esposti, si varca la soglia della Sala delle Nicchie. Il visitatore capisce subito di essere entrato in un ambiente effimero, distinto dalla collezione permanente: non ci sono cartelloni o ridondanti indicazioni a segnalare la mostra, sono piuttosto le luci, il bagliore dei colori dei dipinti e del pavimento (rivestito di moquette rossa) a suggerirla.

L’esposizione occupa l’intera sala, rettangolare, le cui pareti decorate non possono accogliere i capolavori in mostra, per cui diventa indispensabile l’uso di pannelli espositivi che purtroppo coprono la vista delle nicchie che caratterizzano e danno il nome alla sala. I pannelli sono stati disposti su un unico lato della stanza, in un gioco di concavità e convessità che frammenta lo spazio e forma piccoli ambienti in cui raccogliere le opere per temi.

Nel primo ambiente sono disposte tre opere che introducono l’ambito della mostra: alle pareti laterali vi sono due ritratti di Mengs, uno del suo committente spagnolo, Carlo III (1767-1769 circa), e l’altro del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo (1770); nella parete centrale spicca il grande dipinto raffigurante la famiglia imperiale Asburgo al completo, con Maria Teresa e Francesco I d’Austria con i loro figli a Schönbrunn (1756), stavolta del pittore svedese naturalizzato austriaco Martin van Meytens.
Nella piccola parete che separa questo ambiente introduttivo da quello principale sono stati esposti: il ritratto di una giovane e ancora nubile Maria Luisa di Borbone (1763), vestita all’ultima moda, realizzato dalla mano di Lorenzo Tiepolo, e la famiglia granducale, Pietro Leopoldo, la stessa Maria Luisa e dieci dei loro sedici figli, ritratta dal pittore girovago Wilhelm Berczy, attivo a Firenze negli anni Ottanta del Settecento.

Il terzo ambiente, centrale sotto ogni punto di vista, sia fisico sia nel contenuto, accoglie il nuovo acquisto protagonista di questa mostra e le opere che con questo debbono essere messe a confronto, ovvero quei ritratti ai nipoti che Carlo III commissionò a Mengs in cambio del suo lasciapassare per l’Italia: il ritratto di Maria Teresa Giuseppa Carlotta Giovanna di Asburgo-Lorena (1770-1771), il ritratto del piccolo Arciduca Francesco di Asburgo-Lorena (1770), i due doppi ritratti di Ferdinando e Maria Anna (quello del Prado e quello degli Uffizi) e un altro ritratto dell’Arciduca Francesco di Asburgo-Lorena, cresciuto di cinque anni, di Zoffany.

Uno di fianco all’altro, distinti tra loro dal sapiente utilizzo della luce, tutti i ritratti esprimono la sensibilità della mano dell’artista, ma dal confronto la differenza tra le tele destinate alla Spagna e il recente acquisto fiorentino emerge con estrema chiarezza: le prime, attraverso le stoffe cangianti delle vesti, il rosso e l’oro della tappezzeria, i gioielli e le cuffie di trina cerimoniali, descritte mirabilmente dall’artista, raffigurano tutto il fasto del cerimoniale spagnolo, l’idea stessa che quella corte aveva del concetto di sovranità; al contrario, la pacatezza dei toni della tela fiorentina è emblematica della diversa situazione politica e conferisce all’intera opera una naturalezza che, per quanto riguarda la posa di Ferdinando, per esempio, è stata ricollegata ai putti in fasce nei tondi di Luca Della Robbia, nella Loggia degli Innocenti (1487), cosa che giustifica ulteriormente il ritorno del capolavoro a Firenze!

Questo lavoro di confronto termina, come abbiamo prima accennato, con l’opera di Zoffany, che avvicinandosi nel linguaggio e nei colori alla versione fiorentina del doppio ritratto, conferma la diversità ideologica delle due committenze e la differenza nello stile che ne consegue.

Nell’ultimo pannello sono sistemati i due autoritratti di Mengs e di Zoffany, entrambi nella collezione degli Uffizi. Fu lo stesso Mengs nel 1773 a sistemare il suo sotto quello che all’epoca si riteneva fosse Raffaello Sanzio, suo idolo, volendo come lui farsi rinnovatore della pittura. Quello di Zoffany, nella collezione dal 1909, con i limoni e il cagnolino lancia un messaggio diverso: il suo concetto di pittura si rifà al naturalismo e il cagnolino rappresenta qui proprio la fedeltà alla natura.

Dalla parte opposta della sala, quella che guarda verso la corte esterna sono disposte due vetrine in cui si fa riferimento alla carriera letteraria di Mengs nel periodo fiorentino: una lettera in cui il pittore dà istruzioni per la conservazione del ciclo di affreschi della Cappella Brancacci danneggiato da un incendio, una supplica al Granduca Pietro Leopoldo per ottenere il permesso di riproduzione delle sculture antiche e del Rinascimento fiorentino, il manoscritto da lui redatto sulla vita del Correggio e un carboncino di Santi Pacini che riproduce un’opera perduta di Mengs.

La mostra, ammirabile fino al 7 gennaio prossimo, è tanto piccola quanto preziosa. Preziosa perché, oltre a pubblicizzare un importante investimento delle Gallerie, fa luce su un epoca artistica che non gode della stessa simpatia delle epoche precedenti (eppure la trasformazione del complesso degli Uffizi in museo aperto al pubblico si deve proprio a Pietro Leopoldo!). Il Settecento fiorentino in generale, e l’ambito della ritrattistica in particolare, sono spesso adombrate dai momenti di gloria dell’arte del capoluogo toscano. Nel genere del ritratto questo passare in secondo piano è di solito dettato dall’anonimato dei ritrattisti e dei ritratti, ma non è questo il caso del doppio ritratto di Mengs.

Il percorso è una camminata tra nobili personaggi, per la maggior parte bambini, avvolti in vesti dai colori vividi, inseriti in ambienti luminosi, e la sensazione che si prova non rimanda in alcun modo alla comune idea della buia galleria di ritratti.
La comunicazione verbale fa poi da ottimo mediatore tra il visitatore e la storia che i curatori, Matteo Ceriana e Steffi Roettgen, hanno voluto raccontare.

La mostra è inserita nel complesso espositivo della Galleria Palatina. A questo link potete trovare maggiori informazioni.
 
 

 
Translated by Nona Debeham (Istituto Lorenzo de’ Medici)
 
In 2016, the Uffizi Galleries acquired, on the antique market, an incomplete work by Bohemian painter Anton Raphael Mengs. The event was celebrated this year with an exhibition opening on 19 September at Palazzo Pitti, the place in which the work was conceived and likely created, thus illustrating the events that linked the painter to the Spanish court, to Italy and in particular to Florence.

“The task of a living museum is to protect works, preserve memory, transmit culture through exhibitions and research, but also to” breathe life ” to collections with specific additions that can be linked to the city, territory, and the collection itself as they come across them “said Eike D. Schmidt, director of the Uffizi, about the purchase of the work.
The painting depicts the children of Grand Duke Pietro Leopoldo of Lorena and Maria Luisa of Bourbon, Ferdinand and Maria Anna, and was made in 1770-1771 during the stay of the artist in Florence.

The fulcrum of the exhibition is the comparison between this work and one with the same subject commissioned by the King of Spain Charles III of Bourbon, the grandfather of the two children, which has been preserved today at the Prado Museum in Madrid.

The two Mengs canvases were probably made in the same period, though they speak two totally different languages: the Madrid canvas is a testimony to the garments, accessories and furnishings, all the glamor and majesty of the Iberian court, while Florentine is a spokesman for the modern and enlightened air that breathed at that time in the Tuscan Grand Duchy. The latter, in imagery, is objectively closer to the portrait of Archduke Francis at the age of seven years, realized a few years later by another German painter who was active in those years in Florence, Johan Zoffany (1733-1810) and whose work is shown on display beside the two double portraits, to highlight similarities and differences.

The small exhibition occupies the Sala delle Nichie, on the first floor of Palazzo Pitti, often home to temporary exhibitions. It is the passage room from the Palatine Gallery (Venus Room) to the Real Apartments (Green Room) and is perfectly located in the center of the building, overlooking the outside square. At the end of the eighteenth century, Livornese painter Giuseppe Maria Terrains decorated it in the neoclassical style. The works of Mengs, lover of ancient art, of Michelangelo and Raphael, could not hope for a more appropriate frame!

Leaving behind the Venus Room, with the Titian, the Rubens, the Salvator Rosa, the Venere Italica of Canova and the numerous other masterpieces displayed there, you step across the threshold of the Sala delle Nichie, The visitor immediately realizes that he has entered an ephemeral environment, distinct from the permanent collection: there are no billboards or redundant indications to signal the exhibition, rather the lights, the glow of the paintings and the floor, covered with red carpet, suggest it.

The exhibition occupies the entire rectangular hall, whose decorated walls cannot accommodate the masterpieces on display, so it becomes indispensable the use of exhibition panels that unfortunately cover the view of the niches, which give the name to the hall. The panels were arranged on one side of the room, in a concave and convex pattern that fragments the space and forms small environments in which to collect works by themes.

In the first area there are three works that introduce the conceptof the exhibition: on the side walls there are two portraits of Mengs, one of his Spanish commissioner, Carlo III (about 1767-1769), and the other of the Grand Duke of Tuscany Pietro Leopoldo (1770); in the central wall stands out the great painting depicting the full imperial family of Habsburg, with Maria Teresa and Francis I of Austria with their children in Schönbrunn (1756), this time by the Austrian nationalist painter Martin van Meytens.

The small wall separating this introductory zone from the main one has been exposed: the portrait of a young and still unmarried Maria Luisa of Bourbon (1763), dressed in the latest fashion, attributed to Lorenzo Tiepolo’s hand, and the Grand Ducal family, Pietro Leopoldo, Maria Luisa himself and ten of their sixteen children, portrayed by Wilhelm Berczy, a traveling painter, active in Florence in the eighteen-eighties.

The third section, central in every respect, both physically and in content, welcomes the new acquisition of the protagonist of this exhibition and the works that are to be compared with that, those portraits to the grandchildren whom Charles III commissioned Mengs in return of his passage for Italy: the portrait of Maria Teresa Giuseppe Carlotta Giovanna of Habsburg-Lorena (1770-1771), the portrait of the small Archduke Francis of Habsburg-Lorena (1770), the two double portraits of Ferdinand and Maria Anna that of Prado and that of the Uffizi) and another portrait of de The Archduke Francis of Habsburg-Lorraine, who grew up for five years, by Zoffany.

Alongside each other, distinguished by the astute use of light, all the portraits express the sensibility of the artist’s hand, but by contrasting the difference among the canvases destined for Spain and the recent Florentine purchase emerges with extreme clarity: the first, through the changing fabrics of the garments, the red and gold of the upholstery, the jewels and the lace of the ceremonial headpieces, admirably depicted by the artist, represent the whole throne of the Spanish crown, the very idea that that court had the concept of sovereignty; on the contrary, the softness of the tones of the Florentine canvas is emblematic of the different political situation and gives the whole work a naturalness which, for instance, was modeled by Ferdinand, for example, and recalls the group of cherubs in the rotunda of Luca Della Robbia , in the Loggia degli Innocenti (1487), which further justifies the return of the masterpiece to Florence!

This comparison of works ends, as we mentioned earlier, with Zoffany’s work, approaching language and colors portrait of the Florentine version, it confirms the ideological diversity of the two commissions and the difference in the style that follows. In the last panel are the two self-portraits of Mengs and Zoffany, both in the Uffizi collection. It was Mengs himself in 1773who sought to emulate his idol, Raphael, and renew painting following his example.. Zoffany’s collection in 1909, with lemons and little dog, offersa different message: his concept of painting is based on naturalism and the dog is just about loyalty to nature.

From the opposite side of the room, the one looking out to the outside courtyard is furnished with two showcases in which reference is made to Mengs’ literary career during the Florentine period: a letter in which the painter gives instructions for the preservation of the fresco cycle of the damaged Brancacci Chapel from a fire, a petition to Grand Duke Pietro Leopoldo for permission to reproduce the ancient sculptures and Florentine Renaissance, the manuscript written by him on the life of Correggio and a charcoal by Santi Pacini that reproduces a lost work of Mengs.

The exhibition, on view until January 7, is as small as it is precious. It is valuable not only to advertise an important investment of the Uffizi Galleries but also to give light to an artistic age that does not enjoy the same public recognition as earlier periods (yet the transformation of the Uffizi complex into a museum open to the public is due to Pietro Leopoldo!). The Florentine eighteenth century in general, and the scope of portraiture in particular are often adorned with the moments of glory in the art of the Tuscan capital. In the genre of the portrait, this passage in the background is usually dictated by the anonymity of portraitists and portraits, but this is not the case with the double portrait of Mengs.

The path is a walk between noble characters, mostly children, wrapped in vivid colors, in bright environments, and the feeling that it exudes is not at all that of a dark gallery of portraits. The visual message makes a great mediator between the visitor and the story that the curators, Matteo Ceriana and Steffi Roettgen, wanted to tell.

The exhibition is included in the exhibition complex of the Palatina Gallery. For more information please go to this link.